LE AVVENTURE DI
ALICE NEL PAESE delle
Attraverso l’arte di YAYOI KUSAMA
LE AVVENTURE DI ALICE
NEL PAESE delle MERAVIGLIE
LEWIS CARROLL
LE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE delle MERAVIGLIE
Attraverso l’arte di YAYOI KUSAMA
TRADUZIONE DI MILLI GRAFFI

© 2013, 2025 orecchio acerbo s.r.l.
viale Aurelio Saffi 54 00152 Roma www.orecchioacerbo.com
Titolo originale “Alice’s Adventures in Wonderland”
© Yayoi Kusama 2012
First published as Lewis Carroll’s Alice’s Adventures In Wonderland in 2012 by Penguin Classics, an imprint of Penguin Press. Penguin Press is part of the Penguin Random House group of companies.
No part of this book may be used or reproduced in any manner for the purpose of training artificial intelligence technologies or systems. This work is reserved from text and data mining (Article 4(3) Directive (EU) 2019/790).
Grafica: Stefanie Posavec
Traduzione dall’inglese:
Milli Graffi
© Garzanti Editore s.p.a., 1989
© 2000, Garzanti Libri s.p.a., Milano
Nuova edizione, 2025
Stampa: Dimograf (Polonia)
Finito di stampare nel mese di ottobre 2025




CAPITOLO UNO
GIÙ NELLA TANA DEL CONIGLIO
ALICE moriva di noia a starsene seduta con la sorella sulla proda, senza far niente; aveva sbirciato un paio di volte il libro che la sorella stava leggendo, ma non c’erano figure né dialoghi, “e a cosa serve un libro” pensava Alice “senza figure né dialoghi?” Stava dunque calcolando fra sé e sé (nei limiti concessi dal caldo di quella giornata che le dava un senso di sonnolenza e di istupidimento) se il piacere di farsi una collana di margherite fosse valsa la fatica di tirarsi in piedi per andare a raccogliere le margherite, quando d’improvviso le sfrecciò accanto un coniglio bianco dagli occhi rosa. Del fatto in sé non c’era troppo da meravigliarsi, né Alice trovò poi troppo stravagante sentire che il Coniglio mormorava: “Ohimè! Ohimè! Farò tardi, troppo tardi!” (ripensandoci, dopo, capì che in effetti ci sarebbe stato di che stupirsi; al momento però tutto le parve perfettamente naturale); ma quando vide il Coniglio fare il gesto di estrarre
giù nella tana del coniglio
un orologio dal taschino del panciotto, guardarlo e riprendere di gran lena il passo, Alice balzò in piedi, perché le era balenato nella mente che non aveva mai visto prima un coniglio con un panciotto né tanto meno con un orologio dentro al taschino, e, bruciata dalla febbre della curiosità, lo inseguì di corsa attraverso il campo dove fece appena in tempo a vederlo sparire dentro una grossa tana sotto la siepe.
Un attimo dopo, anche Alice ci si infilava dentro, senza riflettere per un attimo come avrebbe fatto a uscirne fuori.
Per un pezzo la tana correva dritta come una galleria e poi all’improvviso sprofondava, così all’improvviso che Alice non ebbe nemmeno il tempo di pensare a fermarsi e si ritrovò a capitombolare giù per un pozzo che sembrava molto profondo. O il pozzo era assai profondo, oppure il capitombolo era assai lento, perché Alice ebbe tutto l’agio, mentre cadeva, di guardarsi attorno e di cercare di capire cosa le stesse accadendo. Prima di tutto guardò di sotto per vedere dove andava a finire, ma era troppo buio e non si vedeva niente; poi esaminò le pareti del pozzo e vide che erano piene di credenze e di scaffali: notò che qua e là c’erano mappe e quadri appesi ai chiodi. Tirò giù un vasetto da uno dei ripiani mentre gli passava davanti; portava la scritta
‘MARMELLATA
DI ARANCE’,
ma con sua grande delusione era vuoto. Non voleva lasciarlo cadere per paura di ammazzare chiunque si trovasse sotto, e fece in modo di appoggiarlo su un altro scaffale che si trovava a portata di mano lungo la caduta.

giù nella tana del coniglio
“Be’” rimuginava fra sé “dopo una caduta come questa, ruzzolare giù per le scale mi sembrerà uno scherzo! Com’è coraggiosa la nostra Alice, penseranno i miei! Ah, certo da me non sentirebbero un solo lamento, nemmeno se dovessi cadere dal tetto!” (e non c’è dubbio che su questo punto avesse proprio ragione).
Giù, giù, sempre più giù.
Ci sarebbe mai stata una fine a quella caduta? “Quanti chilometri avrò fatto cadendo, finora?” si domandò a voce alta. “Devo essere quasi arrivata al centro della terra. Vediamo: dovrebbero essere circa cinquemila chilometri, mi pare…” (Perché dovete sapere che Alice aveva imparato tante cose di questo genere a scuola, e, per quanto non fosse l’occasione migliore per esibire le sue conoscenze, dal momento che non c’era nessuno ad ascoltarla, tuttavia poteva sempre servire ripeterle per fare esercizio) “sì, più o meno la distanza è questa… ma chissà a che Latitudine o Longitudine sono arrivata?” (Alice non aveva la più pallida idea di cosa fosse la Latitudine, per non parlare della Longitudine, ma le sembravano delle belle parole importanti da dire).
Ripigliò subito. “E se passassi attraverso tutta quanta la terra intera! Chissà come sono buffe quelle persone che camminano a testa in

giù nella tana del coniglio
giù! Gli Antipotici, mi pare…” (era molto contenta che non ci fosse nessuno ad ascoltarla, stavolta, perché la parola suonava decisamente sbagliata) “… ma dovrò domandare a qualcuno in che paese mi trovo, si capisce. Mi scusi, signora, qui siamo in Nuova Zelanda o in Australia?” (e si mise a fare un inchino mentre parlava – ve l’immaginate, fare un inchino mentre si sta cadendo nel vuoto? Ci riuscireste, voi?) “Che brutta figura farei, da bambina ignorante! No, meglio non chiedere niente; sarà pur scritto da qualche parte.”
Giù, giù, sempre più giù.
Non avendo niente da fare, Alice riprese la sua chiacchierata. “E Dinah? Che farà senza di me?”(Dinah era la gatta). “Speriamo che si ricordino di darle il suo piattino di latte a merenda. Cara la mia Dinah! Come vorrei che tu fossi quaggiù con me! Non ci sono topi che volino per aria, purtroppo, ma potresti sempre dar la caccia a un pipistrello, che è divertente come un topo, sai? Oppure a una gazza. Ma una gatta mangia una gazza? Mah!” Qui Alice fu presa da una strana sonnolenza e continuava a chiedersi: “Una gatta mangia una gazza? Una gatta mangia una gazza?” e a volte “Una gazza mangia una gatta?” perché, capite,


giù nella tana del coniglio
non sapendo qual era la risposta giusta a nessuna delle due domande, poco importava come le formulasse.
Sentì che stava per appisolarsi e aveva appena cominciato a fare un sogno; camminava con Dinah, mano nella mano, e le chiedeva in tutta serietà: “Dinah, ti prego, dimmi la verità; hai mai mangiato una gazza?” quando, a un tratto, patapumfete!, si ritrovò per terra su un mucchio di ramoscelli e foglie secche. La caduta era finita.
Alice non si era fatta niente e saltò in piedi in un attimo; alzò gli occhi in alto, ma era buio pesto; davanti c’era un altro lungo cunicolo in fondo al quale intravvide il Coniglio Bianco che correva. Non c’era un minuto da perdere. E via, veloce come il vento, Alice lo rincorse, appena in tempo per sentirlo esclamare, mentre svoltava l’angolo: “Oh, baffi e basette! Come s’è fatto tardi!” Gli stava ormai alle calcagna, ma, quando anche lei svoltò l’angolo, il Coniglio non c’era più. E Alice si ritrovò in un salone basso e lungo, illuminato da una fila di lampade che pendevano dal soffitto.


giù
nella tana del coniglio
C’erano tante porte attorno al salone, ma erano chiuse a chiave, e dopo aver percorso tutto un lato fino in fondo ed essere tornata indietro lungo l’altro, provando ciascuna porta, Alice si portò tristemente nel mezzo della sala, pensando a come mai avrebbe fatto a uscirne fuori. Di punto in bianco, si trovò davanti a un tavolino a tre gambe, tutto in vetro spesso; sopra, non c’era altro che una piccola chiave d’oro, e il primo pensiero di Alice fu che potesse aprire una delle porte del salone. Ma, ahimè! o le serrature erano troppo grandi, o la chiave era troppo piccola; sta di fatto che non ne aprì nessuna. Comunque, nel suo secondo giro attorno al salone, si trovò davanti a una tendina corta che non aveva notato prima, e dietro alla quale c’era una porticina non più alta di una trentina di centimetri: provò a infilare la piccola chiave d’oro nella serratura e con sua grande gioia vide che funzionava! Alice aprì la porticina e scoprì che dava su un piccolo cunicolo poco più largo della tana di un topo; si mise ginocchioni e guardando attraverso il cunicolo, scorse il più bel giardino del mondo. Che voglia aveva di uscire da quel salone tetro per andare a passeggiare fra quelle aiuole di fiori risplendenti e fra quelle fontane di acqua fresca! Ma non ci infilava neanche la testa in quella porticina, “e se anche ci passassi con la testa” pensava la povera Alice “a che servirebbe senza le spalle? Ah, se potessi riserrarmi come un telescopio! Mi basterebbe sapere qual è la prima mossa e poi, sono sicura, ci riuscirei!”. Dovete capire che, essendole capitate tante cose strambe negli ultimi tempi, Alice si stava ormai convincendo che di veramente impossibile non ci fosse quasi più nulla.

giù nella tana del coniglio
Poiché era inutile aspettare accanto alla porticina, ritornò verso il tavolino, con la mezza speranza di trovarci un’altra chiave, o perlomeno un manuale che insegnasse come si fa a riserrare una persona come un telescopio; questa volta ci trovò una bottiglietta (“che certamente non era qui, prima” osservò Alice), con attaccato al collo un cartellino dove c’era scritto
‘BEVIMI’
in caratteri di stampa grandi e belli. Si fa presto a dire ‘Bevimi’ ma la nostra saggia piccola Alice non avrebbe fatto una cosa simile alla leggera. “No, prima devo vedere” obiettò “se c’è scritto ‘veleno’ oppure no”, perché aveva letto tante storie di bambini che finivano bruciati, o mangiati dalle bestie feroci, o in altri modi poco piacevoli, e tutto perché avevano dimenticato le buone e sane regole che gli amici avevano insegnato loro, come per esempio che non devi tenere troppo a lungo in mano un attizzatoio rovente, perché alla fine ti scotti; che se tagli troppo profondamente un dito poi ti sanguina; ma soprattutto lei non aveva mai dimenticato che se trovi una bottiglia con la scritta ‘veleno’ e te la bevi tutta o quasi, prima o poi ti senti male. Comunque, su questa bottiglia, non c’era scritto ‘veleno’, e Alice si azzardò a berne un sorso; il sapore era molto buono (era un misto di torta di ciliegie, crema, ananas, tacchino arrosto, caramella mou e crostino spalmato col burro) e ben presto se l’ebbe bevuta tutta.


giù nella tana del coniglio
“Che curiosa sensazione!” osservò Alice.
“Di certo mi sto riserrando come un telescopio!”
giù nella tana del coniglio
E così era infatti; adesso era alta solo trenta centimetri, e si illuminò tutta al pensiero di essere della misura giusta per passare attraverso la porticina che dava sul bel giardino. Ma prima di ogni altra cosa, comunque, attese qualche minuto per vedere se si fosse impicciolita ancora di più; era un pensiero che la innervosiva, “perché potrebbe andare a finire” mugugnava fra sé “che mi estinguo tutta, come una candela.
Chissà come sarei, allora?” E cercò di figurarsi come poteva essere la fiamma di una candela quando la candela aveva finito di consumarsi, perché non le veniva in mente di aver mai visto una cosa simile.
Dopo un poco, vedendo che non succedeva niente, decise di andare subito nel giardino; ma ahimè, povera Alice, una volta giunta alla porticina, si accorse di aver dimenticato la piccola chiave d’oro, e quando tornò al tavolo per prenderla, scoprì che non ci arrivava più: la vedeva benissimo attraverso il vetro e fece tutti gli sforzi possibili per arrampicarsi su per una gamba del tavolo, ma era troppo sdrucciolevole; e quando i tentativi l’ebbero stremata, la povera piccola si mise a sedere e scoppiò in lacrime.
“Suvvia! A che ti serve piangere?” si rimproverava Alice con molta severità. “Se vuoi un consiglio, smettila subito! All’istante!” Di solito dava a se stessa degli ottimi consigli (sebbene li seguisse assai di rado) e certe volte si rimproverava con tanta durezza da farsi venire le lacrime agli occhi; si ricordava che una volta aveva cercato di tirarsi le orecchie perché s’era truffata in una partita di croquet che giocava contro se stessa, poiché questa buffa bambina amava far finta di essere due persone diverse. “Ma a cosa mi serve adesso” mugugnava la povera Alice, “far finta di essere due persone! Ormai, tutto quello che è rimasto di me forse non basta nemmeno a farne una sola, di persona rispettabile!”
SEGUE…