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RADICI
VERSO IL FUTURO 1. 2. 3. 4. 5. 6.
DAL VIAGGIO DI FORMAZIONE AGLI ESORDI
VERSO UNA NUOVA SCUOLA
LIBERARE IL SUOLO COPIARE SATURNO NUOVI SCENARI PER ROMA
MANIFESTO
CONTRIBUTI
TRADUZIONI
Prefazione
CONTEMPORANEITÀ COSCIENTE
Sono entrato in contatto con Luigi Pellegrin nel 1989 tramite l’architetto Giovanna Sibilia.
Giovanna era assistente al corso di Composizione 2 all’Università degli Studi di Roma, La Sapienza. Le sue revisioni erano fatte di interminabili iterazioni fatte di schizzi a matita: la mina 2B era d’obbligo perché bisognava imparare a segnare, a ragionare disegnando. Anche lei, come Pellegrin, amava il tratto forte e deciso. Ricordo che Pellegrin parlava della matita come di uno strumento eccezionale perché “sente la pressione della tua mano”.
Quando le chiesi consiglio per il corso di Progettazione 2, mi disse, con decisione, “vai con Pellegrin: è un Maestro”. In effetti aveva ragione, Pellegrin non era solo Professore Universitario, era un Maestro di vita. Ruvido, difficile, ma capace di instillare un processo di crescita e di ricerca negli studenti che si aprivano al suo mondo. Mondo sì, perché le sue lezioni non erano solo sull’architettura, ma si arricchivano di contemporaneo, di storia e di fantascienza. L’architettura era solo uno dei temi della sua attività didattica: un mix che includeva arte, scienza, tecnologia, antropologia e soprattutto quella che definirei una nuova forma di ecologia.
Per me, iscritto ad architettura più per seguire due amici che per vocazione, Pellegrin è stato un incontro fondamentale. Il mio amore erano, e ancora lo sono, i grandi spazi del West americano, i Nativi. Mi sentivo stretto in Italia, dove il territorio è così fittamente urbanizzato, sognavo la libertà e così ho passato le estati dei primi anni dell’Università a inseguire i miei sogni nelle praterie della Palouse e del Texas. Poi è arrivato Pellegrin a dare un senso a quel vivere e sentire schizofrenico. La sua ricerca era esattamente quello che stavo cercando: un nuovo modo di progettare, che ibrida architettura, urbanistica ed ecologia nel tentativo di costruire un nuovo habitat dove il suolo è libero dal costruito e dalle infrastrutture che sono spostate in alto in magnifiche strutture aeree.
Sono stato subito attratto dalla sua visione, che superando l’antropocentrismo e il geocentrismo impone di guardare al progetto non solo dalla prospettiva dell’umanità, ma da quella ecologica, nel senso più ampio del termine. Il suo vedere e il suo sentire era in diretta connessione con i Nativi americani. In quegli anni mi suggerì di leggere “Alce Nero parla”, l’autobiografia di un uomo di medicina e guida spirituale della tribù Oglala Lakota che narra la vita dei nativi fatta di un rapporto intimo con la natura, fino al drammatico momento
del cambio di vita: dalla libertà della vita nomade al confinamento nelle riserve. Alce Nero era uno dei riferimenti di Pellegrin, faceva parte delle sue radici.
Nel corso degli anni il dialogo tra noi non si è mai chiuso, anche se è stato un dialogo frammentato, a tratti interrotto. E il dialogo per me è continuato anche dopo la sua dipartita in un costante confronto con i suoi insegnamenti. Ho deciso di scrivere questo libro come un atto di riconoscenza, nella speranza che possa contribuire a far conoscere maggiormente il portato della sua opera che ancora oggi sento come estremamente attuale e profetica.
Quello che mi stupisce oggi, rileggendo i suoi scritti, è la corrispondenza con la situazione che stiamo vivendo. La sua attenzione si focalizzava sui problemi energetici, sull’effetto straniante della tecnologia delle comunicazioni sui nostri comportamenti, sul consumo di suolo, sul dramma dello sprawl e di un ambiente senza qualità, sui conflitti e sulle migrazioni, sullo spazio per gli esclusi dalla società. Tutto quello che oggi stiamo vivendo ad una dimensione sempre più estrema era già oggetto della sua indagine. Pellegrin percepiva la crisi in atto e sentiva l’obbligo morale di adoperarsi per attivare una riflessione che,
RADICI PROTESE VERSO IL FUTURO 1.
Il passato “prossimo”: Roma
“Forse hanno vinto gli uccelli, che hanno capito che abitare il pianeta era più ricco e salubre se era appoggiarsi part-time, coabitando terra e cielo.
Non ho modo per risolvere il dubbio. Ho solo modo di esercitarmi per assomigliare agli uccelli”
Roma rappresenta nella formazione di Pellegrin una grande occasione di nutrimento. Pellegrin entra in contatto con l’architettura nella prima infanzia attraverso la frequentazione di quello che lui stesso definirà “l’ultima opera barocca di questo secolo”. Il padre lavora infatti alla realizzazione del Buon Pastore, la Casa provinciale della Congregazione di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore di Augiere. Il complesso è opera di Armando Brasini, uno dei più influenti architetti del periodo. Brasini, proprio come l’altro mentore di Pellegrin, Louis Sullivan, aveva iniziato la sua carriera come decoratore. A differenza di Sullivan, che arriverà a plasmare forme plastiche partendo dalle matrici bidimensionali dello stencil, Brasini inizia dal mondo delle cornici, delle decorazioni a stucco, per poi trasformarsi, via amore per l’antichità classica, in architetto.
Brasini nel suo anacronistico “essere barocco” è tuttavia modernissimo, è art director per due importanti film: Theodora (1919) e Quo vadis? (1924), ma soprattutto è un visionario: presenta una serie di proposte per Roma che anticipano, in termini di scala, la forza, il coraggio e la profondità delle visioni di Pellegrin per gli interventi romani.
Pellegrin è giovanissimo: i lavori del Buon Pastore iniziano nel 1929 quando ha solo 4 anni, per concludersi nel 1933 quando ne ha otto, ma quell’esperienza disvela in lui l’importanza del ruolo dell’architetto, colui che è capace di gestire il processo di trasformare la visione in realtà.
Ripensando alla sua infanzia Pellegrin scriverà:
Da bambino Pellegrin ha pensato ed è stato istruito a capire che il progetto
Incontro di due genetiche, Diario: settembre, 1992.
Senza titolo, 1991
Nel testo su Alce Nero, Pellegrin continua:
Ci è difficile ricordare che il lontanamente pensato geocentrismo è servito al progetto dell’uomo, ma anche a far dimenticare la realtà Terra e a potenziare l’azione antropocentrista in più sensi.
Nell’antropocentrismo agisce in assoluta libertà e possibilità di arbitrio l’etnico-centrismo e, la tendenza a far prevalere la razza X, sia perché “POPOLO ELETTO”, sia perchè popolo più armato.
Questo è un punto chiave che riassume la terribilità insita nella nostra fase. Elezioni e armi derivano ancora legittimità dalla volontà RIVELATA dal DIO X.
(...) Non disponiamo di nessuna idea di Dio immune da profonde carenze ecologiche.
Sembra superficiale e blasfemo dover dire che la ricerca base oggi dovrebbe essere accentrata nello scoprire una diversa faccia nella sfera chiusa della DEITÀ.
Nella ricerca di una diversa faccia per la DEITA’, nel cercare di riformare un assetto ecologico che tenga conto delle istanze di tutte le specie, Pellegrin guarda anche alle DEITÀ degli Altri.
Per molti, la Mirabile sfera, il PIANETA, divenne landa piatta, appena arricchita da corrugazioni montagnose e l’intorno isolato in forme incomunicanti.
Il tutto fu celebrato quale ORDINE FERMO.
La paura della morte crebbe nel sapersi parte di un ordine “fermato”, cioè ridotto ad essere solo “QUELLA Entità per sempre”.
Si può fare un lungo elenco, ma ha prevalso il ridursi nella comodità dell’aver accettato la crudele coppia di sé che è il bene e il male.
Coppia che si è riflessa nella lunga guerriglia fra le poche inventate realtà .
Fra tutte le guerre la più mortificante per la Specie è stata quella fra SCIAMANI e SACERDOTI.
Guerra che ha attivato la non convivenza fra Monocredenti e Policredenti e fra Sedentari e Nomadi.
Solo il cane ed il cavallo fra gli animali sono stati fedeli ad Entrambi durante questo guerreggiare.
Raggi del Sole, nebbie e alluvioni sono stati indifferenti a tutte quelle guerre.
È naturale, quelle espressioni erano gestite dal progressivo approfondimento fisionomico e vitalistico del Pianeta, la grande sfera è il nostro luogo di nascita nell’Universo.
VILLA SU VIA AURELIA, ROMA, ITALIA
UNIVERSITÀ DI BARCELLONA, SPAGNA
LES HALLES, PARIGI, FRANCIA 1979
Ricerca A, Parigi, 1979.
COPIARE SATURNO 5.
Sintesi di una ricerca
“Vedevo
il come copiare Saturno che è il Pianeta con anelli. Se aggiungessimo un anello attorno all’equatore, trasformeremmo la linea di più alta velocità di rotazione e che naturalmente riceverebbe il massimo del dono solare.”
Nel 1986, l’invito ad un concorso su temi ecologici a Los Angeles, offre a Pellegrin l’occasione per sintetizzare la sua ricerca e per proporre un metodo per rivoluzionare l’attuale utilizzo dei suoli: copiare Saturno. Due tavole anticipano la proposta, si tratta di un excursus su due decenni della sua produzione. La prima sintetizza l’attività di ricerca svolta negli anni Sessanta del Novecento sul “Serpente”:
Negli anni Sessanta abbiamo lavorato allo sviluppo delle immagini “master”; la linea del piano di Algeri di Le Corbusier è stata reimmaginata come organismo territoriale che cambia nelle differenti stagioni e che instaura incontri radicali con l’acqua e le montagne. Un esperimento che intende cambiare l’idea di spazio abitato per chi è abituato ad abitare “scatole chiuse”. In quell’ habitat erano inclusi sistemi di trasporto, colture idroponiche, spazi culturali e sociali e le tecnologie per eradicare il problema dei rifiuti.
La seconda invece si riferisce agli anni Settanta del Novecento:
Il tema è ridurre il consumo di suolo, produrre spazio, ridurre rifiuti e trovare un’alternativa alla crescita cancerosa delle città. La proposta trova ispirazione negli insediamenti tardo medievali dove l’abitare e il lavorare erano interconnessi con gli spazi religiosi e quelli per i riti sociali. La valenza di questo esperimento era nella riduzione del traffico, nell’ampliamento dell’attività terziaria e nell’adozione di misure per la trasformazione di rifiuti in fertilizzanti per le aree agricole sottostanti l’insediamento.
L’atto di “elevare” lo spazio sociale, la piazza, realizza un modo innovativo di essere insieme; non solo essere insieme in uno spazio urbano, ma essere insieme in una posizione tale da godere della dimensione completa della natura.
One can copy from a planet, tavola di concorso, Los Angeles, 1986.
Loro negavano l’importanza dell’interspazio, dello spazio tra le cose, come pure negavano che il dominatore dell’organizzazione spaziale è il vuoto. Quelle negazioni costruirono il passaporto per entrare nell’idea dell’Architettura organica che aveva il merito di non essere VANGELO e che ha avuto il grande merito di riportare le forme delle origini del costruire a una presenza contemporanea:
Attraverso forme che non derivano dal mondo classico o para – classico, ma derivano da espressioni biologiche del vivente;
La consecutio organizzativa della componente organica riproponeva una geometria anti cartesiana, è in questo senso quindi una geometria meno astratta, meno lontana dalle forme che l’energia dall’inizio dell’universo usa per manifestare sé stessa.
La mia dissidenza dalla componente organica era confinata ad un punto: la scala di intervento.
Wright aveva dimostrato la capacità e possibilità di neo organismo nella dimensione del domestico, l’aveva dimostrata nella dimensione della scala in termini di funzioni (quindi il contrario della pianificazione razionalista) ma non aveva affrontato, o non poteva affrontare, il tema globale, cioè che la geometria della tesi organica doveva conformare l’intero habitat dell’uomo sulla Terra per ridargli il diritto di essere degno e non oppressivo ospite.
È proprio qui il nodo del messaggio: per Pellegrin l’umanità deve recuperare il diritto di essere degno abitante della terra e non ospite oppressivo, il costruito dell’uomo deve conformarsi alla Natura. Il modello urbano di Wright, Broadacre city, una città-regione che si estendeva a macchia d’olio sul territorio non era sufficiente, tuttavia Pellegrin continua spiegando quanto sia stato fondante l’incontro con il Maestro.
Due dissidenze sono state alla base della mia formazione.
L’incontro con l’opera di F. L. WRIGHT. Accade nel 1954 in Florida. La sua opera mi aveva fornito gli strumenti del progettare, sostanziati da presenze pre – arcaiche e futuribili (la parete vetrata della Johnson factory).
In più Wright aveva distrutto la forma del VUOTO resa prisma che si era stabilizzata nella mente dell’uomo della “CIVILTÀ OCCIDENTALE”
Poi altri due grandi, Sullivan e Fuller, aiutano Pellegrin a vedere oltre:
Due successivi incontri dettero sostanza al formarsi del mio non conscio programma di lavoro progettuale.
Proto-organismo territoriale a San Cristobal, Venezuela, 1982.
Due successivi incontri che integrarono la distruzione della razionalizzata a – materica scatola spaziale che da millenni era diventata la sede in cui
Senza titolo, 1975, dalla serie: Se gli “altri” progettassero sulla terra, fotoinserimento.
Questo tema, in questa fase, è necessariamente o volutamente ignorato. Parlando di INTERMODALITA’ sono compresi: aereo / elicottero / linee nazionali / linee locali / linee urbane / metropolitana / shuttle / bus / taxi / privati.
Il tema va quindi affrontato anche dal punto di vista delle linee cittadine (ATAC, ACOTRAL) e soprattutto dal punto di vista della GOMMA. Lo schema proposto si basa su un concetto chiave: FINE DELL’IDEA DI STAZIONE e INIZIO DI UNA NUOVA TIPOLOGIA CHE È PARZIALMENTE COINCIDENTE NEI CONTESTI URBANI E TERRITORIALI: L’AMBITO INTERMODALE. In questa affermazione è implicita la riduzione dell’idea di stazione di testa. Questo concetto permette e costringe il pensare progettualmente lo spazio Termini e Tiburtino e le aree che li collegano come ad un UNICO SPAZIO DA ATTREZZARE PER LA INTERMODALITÀ
I vari sistemi di mobilità vengono integrati in un unico processo progettuale diminuendo i carichi trasportistici, soprattutto a Termini. Vengono così “liberate” per funzioni urbane aree di alto valore e caricate di intermodalità aree di più basso valore immobiliare.
Il triangolo Tiburtino-Termini ed il dirimpettaio SDO ad est compongono un’area dove la mobilità, nell’attuale configurazione, è composta da tratti semi-eccellenti e da colli di bottiglia drammatici, non ha nessuna fluidità. Nello stesso tempo è l’area romana a più forte concentrazione di Stazioni. Ancora, è il luogo di ripartenza per diramarsi radialmente sull’intero tessuto urbano consolidato.
Il triangolo Tiburtino - Termini - S.D.O. può diventare SPAZIO
INTERMODALE, in cui la parola Stazione viene cancellata. SPAZIO INTERMODALE diffuso che si può estendere su vaste aree F.S. ed accogliere tutti i mezzi della mobilità e i relativi servizi relativi per trasformare un luogo di scambio passivo in spazio urbano attivo.
Nella relazione che accompagna il Master Plan, Pellegrin scrive:
Plastico del Master Plan
Aree F.S. Roma, Roma, 1992.
Roma nasce come incrocio: di assi di transumanza sul guado dell’isola Tiberina, incrocio culturale tra Sabini ed Etruschi, incrocio geografico tra Sub-appennino e pianura del Tevere; nasce sulla sponda sinistra del fiume ove l’esistenza di un terreno paludoso rese più facile bonificare e difendere una postazione collinare: il futuro Foro romano. L’abitato si sovrappone ai flussi interrompendoli. La città filtrava, rallentava i flussi e produceva cultura, informazioni e qualità fino ai tempi di Roma Capitale del regno.
Sezione del Master Plan delle aree F.S, Roma, 1993.