Giorgio Grassi NELLA DIREZIONE OPPOSTA Heinrich Tessenow ritrovato

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Nota dell’editore

Le immagini di questo volume sono state selezionate ed editate direttamente da Giorgio Grassi, che ha scelto personalmente anche il modo di impaginarle.

L’editore è consapevole che la qualità di alcune immagini non è delle migliori, ma l’autore ha preferito pubblicarle ugualmente ritenendole indispensabili per la comprensione del libro.

Anche le scelte redazionali relative testo (corsivi, grassetti e formattazioni in genere) sono un scelta precisa dell’autore e pertanto si è ritenuto opportuno non modificarle.

ISBN 978-88-6242-853-8

Prima edizione ottobre 2025

© LetteraVentidue Edizioni © Giorgio Grassi

Parte dei testi presenti in questo volume è stata pubblicata per la prima volta in Italia da Franco Angeli nel 1974.

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

Le immagini in questo libro rispondono alla pratica del “fair use” (Copyright Act 17 U.S.C. 107) essendo finalizzate alla critica, all’insegnamento, alla ricerca scientifica o al commento storico-critico. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyright delle illustrazioni l’editore rimane a disposizione degli aventi diritto e provvederà ad eventuali correzioni alla prima ristampa utile.

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www.letteraventidue.com

Introduzione 1

Nella direzione opposta. Heinrich Tessenow ritrovato. 2024

Introduzione 2

L’architettura come mestiere. Introduzione a Heinrich Tessenow. 1974

Heinrich Tessenow. Osservazioni elementari sul costruire

Nota alla traduzione

Introduzione

Lavoro artigianale e tradizione borghese

La forma tecnica

L’oggettività o la verità nel lavoro artigianale

L’ordine

La regolarità e in particolare la simmetria

La chiarezza e la semplicità nel lavoro artigianale

Considerazioni circa il dividere e il collegare

L’ornamento

Illustrazioni

Biografia di heinrich tessenow

HEINRICH TESSENOW di Karl Scheffler

1. Casa Tessenow n. 3 a Berlino-Zehlendorf (1930), foto recente.

…note preliminari su Tessenow a Berlino dal 1926 al 1945, inclusi i dieci anni di dittatura nazista:

Riconosciuto come portatore di una radicale critica all’architettura contemporanea e fautore di un non più differibile rinnovamento a partire dalla sua stessa ragione di essere, Tessenow si è presto trovato in contrasto con i suoi vecchi colleghi, coi quali aveva sempre condiviso quantomeno le battaglie politiche, ma che facevano ormai parte da tempo di una più aggiornata e avanzata “scelta movimentista” (espressionismo, razionalismo, funzionalismo, ecc., attivi a Berlino). Heinrich Tessenow poteva contare solo su alcuni di loro, gli amici più aperti e cui era più legato, come Le Corbusier, Poelzig, Hilberseimer e pochi altri.

Scrive Julius Posener nel 1986, ricordando i suoi anni da studente alla Technische Hochschule di Berlino, alla fine degli anni venti: “L’esperienza mi confermava questa impressione: da studente, non riuscivo a stabilire nessun tipo di rapporto con Tessenow. Lo chiamavo: Il Santo Falegname. Volevo essere provocatorio e alla fine, senza che me ne rendessi conto, questo conteneva una verità: la coesistenza della vita quotidiana con quella spirituale. Poi ho visto una piccola casa che aveva progettato e ho trovato esattamente questa verità: lì il quotidiano era altamente poetico – come aveva detto Poelzig anni addietro nel 1916 descrivendo Tessenow come suo successore alla Scuola dell’Accademia di Breslavia. Aveva scritto: “un architetto pieno di carattere; un pensatore, anzi, un poeta. La piccola scala è la sua forza più che la grande, la cosiddetta architettura monumentale. Forse un po’ troppo dottorale per Breslavia” (dal “Vorwort ” di Julius Posener a “Hausbau und dergleichen”, pag. 3-5, Braunschweig 1986).

4. Il fronte del nuovo Festspielhaus verso la piazza d’ingresso, come si presentava nel 2003.

NELLA DIREZIONE OPPOSTA

Heinrich Tessenow ritrovato 2024

“…gli altri esseri umani li ho trovati nella direzione opposta”…“volevo andare, non soltanto in una direzione diversa, ma proprio nella direzione opposta, un compromesso non era più possibile…”1 .

Le impegnative parole di questo incipit di un noto romanzo possono essere state pronunciate da un ragazzino (così come avviene appunto nel romanzo) o anche da un altro qualsiasi essere umano, a un certo punto della sua vita o della sua carriera, al punto in cui, chiaritosi il suo compito in mezzo ai suoi simili, diciamo un architetto in mezzo ai suoi colleghi architetti, compresi i più esperti e famosi, dipendendo la sua decisione soltanto dalla sua determinazione e dalla sua coerenza rispetto a quello in cui crede e si propone di realizzare, presto si accorgerà che questa scelta lo porterà inevitabilmente a ritrovarsi solo e emarginato rispetto ai suoi colleghi e ai rapporti che fino a quel momento aveva comunque intrattenuto con alcuni di loro.

Questo isolamento, che non esclude reciproche difficoltà, perché non saranno mai solo le diverse opinioni sull’architettura a confrontarsi, ma semmai le convinzioni più personali e profonde, sarà in ogni caso la prima evidente sconfitta di Tessenow architetto tedesco2 rispetto ai suoi colleghi, che segnerà profondamente le sue scelte. Poi la radicalità di quelle sue scelte fatte fin dall’inizio lo difenderà fino all’ultima, quella sua più dolorosa, il progetto per la Festhalle di Rügen. L’opera più fragile e coraggiosa di Tessenow. La sua risposta più autorevole ai suoi colleghi architetti.

1. Thomas Bernhard “La Cantina”, Milano1984, p. 9 e p. 18.

2. Tessenow entra nel Bund Deutscher Architekten nel 1910 e nell’esecutivo del Deutscher Werkbund nel 1919.

57. La piazza coperta dell’antica bastide vista dall’alto fra gli antichi edifici della place des Cornières.

hanno dato luogo alle leghe in Germania), è nata in Tessenow la necessità di esprimere queste idee e questi comuni principi egalitari anche nel suo progetto per il Padiglione nel golfo di Prora, nelle forme che sono rappresentate in questi disegni, solo abbozzate, senza pretesa di insegnare o di indirizzare, senza molte speranze che possano realizzarsi in un futuro senza più il veto di un regime che già lo teneva sotto osservazione da anni.

I due famosi disegni di Tessenow

Il progetto di una Festhalle nel bosco non modifica il bosco, ma neppure aggiunge qualcosa che il bosco non aveva. Il progetto dice semmai che il bosco è stata l’ispirazione per qualcos’altro che non riesce, in quanto copia con differenti obiettivi (esempio per analogia), nemmeno ad essere funzionale al suo scopo. Il fatto è che fra il bosco e il padiglione non c’è nessun rapporto possibile. Non c’è interdipendenza, malgrado la contiguità nel nostro caso, sarebbe quindi inutile riferirsi all’altezza del bosco per fissare l’altezza del padiglione. Ma Tessenow in realtà non ha altro obiettivo che quello di fare del suo Padiglione un “bosco artificiale”, del tutto indipendente e autonoma rispetto al bosco, che esclude perciò il misurarsi con la questione delle altezze diverse o meno.

Non è la prima volta che Tessenow si misura con colonne o pilastri lunghi e sottili, sembra anzi affascinato dalle strutture esageratamente alte e sottili, spesso indipendenti dall’altezza dell’edificio o del porticato a cui corrispondono e che si comportano nei progetti come colonne o pilastri di proporzioni normali. Spesso servono solo a trasferire i ritmi della pianta anche in alzato, per chiudere con evidenza una struttura verticale quasi sovrapposta ai diversi padiglioni distanti fra loro.

Se le colonne disegnate da Tessenow per una Festhalle nel bosco vogliono raggiungere l’altezza degli alberi del bosco, cosa impedisce loro di andare oltre la copertura che avrà invece un’altezza coerente con le misure dell’edificio? Nel progetto per la scuola di Klotzsche non sono forse i numerosi pilastri quadrati che troviamo ovunque intorno agli edifici più alti o più bassi, a dar forma e misura a tutti i percorsi, ai loggiati e alle “pergole”, che troviamo un po’ dappertutto per collegare fra

58. La città di Cordes sur Ciel, bastide fondata nel 1222, al centro una piazza interamente coperta (les Halles) fornita di un pozzo profondo 114 metri, essenziale per i numerosi assedi subiti.
59. Les Halles di Cordes sur Ciel lo spazio interno: pavimento e colonne di pietra e capriate di legno.
67. Casa in legno su basamento in pietra, un modello di piccola casa in tutto il nord europeo (fine XVIII sec.).

L’ARCHITETTURA COME MESTIERE

Introduzione a Heinrich Tessenow

1974

La prima questione a cui devo rispondere è: perché questa pubblicazione. Dirò subito, per allontanare gli equivoci più grossi, che sbaglierebbe chi attribuisse prevalentemente alla presente traduzione il valore di un documento storico destinato ad arricchire il materiale conoscitivo intorno a un momento particolare della vicenda dell’architettura europea, oppure il valore di uno strumento idoneo a sviluppare criticamente l’analisi genealogica della nostra attuale cultura architettonica. Sbaglierebbe altrettanto chi tentasse di far passare la riproposizione di questo piccolo libro, scritto quasi sessant’anni fa, come il tributo a una moda, che caratterizza l’iniziativa editoriale non solo in questo campo, che predilige soffermarsi sui passaggi meno noti della storia più recente, sui momenti di transizione, sui punti di vista un po’ fuor dal comune, su innocenti eresie, ecc. e finisce inevitabilmente per riesumare quei personaggi che sono rimasti fra le pieghe della storia. (È lo stesso Tessenow a sfuggire a questa ipotesi, contrariamente ai dimenticati tradizionali, Tessenow non ha bisogno d’interpreti, ciò che ha detto l’ha detto con chiarezza, non è una figura secondaria che può essere omessa, è una figura a sé, forse soltanto inopportuna).

Invece questo scritto di Tessenow è stato tradotto e viene riproposto oggi in quanto rappresenta complessivamente una lezione d’architettura profondamente attuale. Malgrado sia stato scritto nel 1916, questo libro si misura concretamente, non solo con il pensiero contemporaneo, ma anche, e forse più proficuamente, con le successive formulazioni teoriche del movimento moderno e in questo senso è capace di far giustizia di molti falsi problemi dibattuti ancora ai nostri giorni. Inoltre, per molti aspetti e in particolare per la sua specificità, può essere assunto secondo me come il fondamento per l’unico discorso progressivo che può essere fatto attualmente sull’architettura.

di forme. L’architettura ripiegando continuamente su se stessa, nel suo insieme sistematico e folle, mostra la volontà di costituirsi come un sistema completo, che ha però nella natura il suo unico termine di paragone. Il paziente lavoro dell’architettura non esclude che questa esigenza di completezza si manifesti parallela, provocatoria e avvilente, esaltante e contraddittoria. Anche la capacità di superare il lato oscuro della storia della città, e quindi anche la funzione mascheratrice che ha in questo l’architettura, ha in tale confronto il suo motivo più vero. La città è nel suo complesso la sfida a questo incomparabile modello formale. Le città ideali, la conquista perfetta del razionale, e le città fantastiche, la manifestazione del limite cui soggiace la stessa città ideale, sono il segno della sfida periodica, complessiva, al mondo compiuto delle forme, alla natura. E il carattere progressivo che questi tentativi posseggono è dovuto proprio a questa sfida che ci fa riconoscere che la città è così, bella o brutta, per una decisione o una incapacità esclusivamente formali.

Per Tessenow la moderna metropoli è il segno evidente di questa incapacità e la sua una rinuncia a misurarsi con dei contenuti tanto contraddittori quanto inconsistenti, come quelli che la metropoli europea sembrava proporre. D’altra parte Tessenow non è capace di facili suggestioni, non è certo l’uomo dell’ingenuità e della fantasia, dello slancio e dell’epos. Tessenow non avanza alternative. Se allineiamo idealmente i suoi progetti, quelle piccole case unifamiliari tutte impercettibilmente diverse l’una dall’altra, questa lunga teoria manifesta nel suo insieme sconcertante una straordinaria grazia ironica; un’ironia forse più penetrante e persuasiva di quell’altra più programmatica che risulta dalle argomentazioni teoriche o dalle singole soluzioni architettoniche. Questo ultimo segno che Tessenow ci lascia è insieme l’unico dato di certezza e anche la sua particolare protesta per l’architettura, per la città-bella così improbabile, il suo “Ma no, ma no, ma no” ripetuto, un po’ melodrammaticamente e senza molte illusioni, da un altrettanto improbabile campo di grano.

HEINRICH TESSENOW

OSSERVAZIONI ELEMENTARI SUL COSTRUIRE

La copertina della edizione pubblicata da Woldemar Klein • Baden-Baden nel 1953.

Se oggi vogliamo costruirci una nuova casa oppure arredarci un appartamento o comunque se intendiamo occuparci seriamente di una cosa, che sia anche in una certa misura durevole, ci rendiamo subito conto che si tratta di un’operazione incredibilmente complicata; chiediamo consiglio a destra e a sinistra, eppure non riusciamo a trovare una soluzione conveniente; conosciamo e amiamo quasi tutto, il molto antico e il molto moderno, il grosso e il sottile, ecc., e alla fine non sappiamo che cosa scegliere.

Per poter giudicare nel modo più giusto e per poter migliorare nel loro complesso sia la nostra vita attuale che il nostro lavoro, e quindi il nostro lavoro artigianale, il modo di costruire le nostre case, ecc., sarà opportuno soffermarsi a considerare la storia come un processo in cui sono riconoscibili tre momenti fondamentali, che si avvicendano in una successione sempre identica. Il primo è il periodo del variopinto, dell’andirivieni, del sottosopra, della confusione: soldatini di piombo, una lanterna magica, un tozzo di pane, un cucciolo, la luna piena, un pezzo di carta bianca o un’altra cosa qualsiasi, il lirico, il comico, l’eroico, lo châlet svizzero, la comodità inglese, le colonne greche e quant’altro può passarci per la mente, in questo caso per noi tutto è ugualmente importante oppure ugualmente senza importanza, così come capita; in questo caso tutto si anima all’improvviso ma altrettanto improvvisamente perde vita, ci manca cioè la capacità di creare una relazione stabile fra una cosa e l’altra; ciò non significa che siamo assolutamente incapaci di creare. Un bambino è pur sempre molto creativo; ma le sue opere hanno soltanto un valore momentaneo. Può forse parere presuntuosa l’affermazione «hanno soltanto un valore momentaneo», ma non deve essere intesa con malizia; può darsi che l’espressione infantile sia effettivamente la migliore, può darsi che i valori momentanei siano proprio ciò che vi è di più giusto. Se questo è vero abbiamo di che

consolarci perché le nostre opere degli ultimi decenni – contrariamente all’opinione più comune – sarebbero proprio del tipo più conveniente; durante questo periodo ci siamo interessati di tutto senza conoscere limiti, in modo assolutamente infantile, abbiamo veramente afferrato tutto e abbandonato tutto di nuovo, non esisteva per noi quasi più nulla di sacro, anche il bambino più solerte non avrebbe potuto fare di meglio; forse è stato un bel periodo. Un fatto però è certo, che neppure un bambino vuol mai essere considerato tale; per esempio quando i bambini giocano alla famiglia, la cosa più difficile è che si mettano d’accordo su chi debba sostenere la parte del figlio e questa avversione per l’infanzia aumenta via via che ci avviciniamo alla sua fine, per esempio non potremmo umiliare di più un giovane che trattandolo da bambino e allo stesso modo anche noi saremo sempre contrari al fatto che la nostra opera venga considerata infantile; noi saremo sempre impegnati a fare qualcosa di diverso o di più responsabile di quanto sia in grado di fare un bambino.

A riprova di ciò sta il fatto che noi siamo assolutamente certi che negli ultimi decenni la nostra vita e il nostro lavoro non avessero nulla di infantile; anzi, quando abbiamo cercato un modo sofisticato per definire questo periodo, spesso lo abbiamo definito addirittura antiquato. La prima cosa che caratterizza la natura di un bambino è la molteplicità dei desideri, la scarsa determinazione nell’attività creativa che si accompagna a sempre nuovi desideri. Da questo punto di vista gli ultimi decenni ci hanno dato un numero sorprendente di opere di questo genere; e il fatto di essere riusciti ciononostante a produrre alcunché di serio o di coerente non è sufficiente per dimostrare di non essere vissuti in un clima di infantilismo generale: anche un bambino a volte può comportarsi in modo responsabile e rimanere pur sempre profondamente infantile.

Noi abbiamo un’alta considerazione dell’età infantile e anche del periodo appena trascorso, ma non possiamo impedirci di diventare adulti. Se non altro il nostro atteggiamento per quanto riguarda le vicende attuali del nostro paese ci dimostra molto chiaramente che stiamo appunto uscendo dalla nostra infanzia; siamo animati dai più alti ideali, dal più grande vigore e da un ardimento schiettamente giovanile; cerchiamo e riconosciamo all’individualità un ruolo preciso nella vita collettiva, molto più di quanto non sia avvenuto finora; facciamo nostro con entusiasmo questo principio e dimostriamo comunque in ogni occasione che oggi è iniziata per noi l’epoca della maturità. La nostra vita e il nostro

LA REGOLARITÀ E IN PARTICOLARE

LA SIMMETRIA

Può sembrare ridicolo dilungarsi a ragionare sul fatto che alla vita quotidiana e al lavoro artigianale si convenga una certa regolarità, noi però ne riconosciamo senz’altro l’importanza. Tanto più strano appare quindi il timore che sempre ci coglie improvviso quando, a proposito del lavoro artigianale, dobbiamo affrontare questioni relative o all’ordine o alla regolarità; in tali circostanze ci diamo subito da fare per dimostrare che la regolarità non sempre è la cosa più positiva. Ma il fatto è che noi non ci adoperiamo quasi mai per ciò che è positivo in senso assoluto, ma piuttosto quasi sempre per ciò che è migliore; e in generale, nella vita di tutti i giorni e nel lavoro artigianale, il rapporto con una norma e la regolarità, sono senz’altro meglio del disordine.

(In fin dei conti tutto è più o meno ordinato o regolare, di modo che nella pratica non può trattarsi che di regolarità, magari semplice e grossolana, oppure di disordine).

Ciò che non è almeno in una certa misura, anche semplicemente o grossolanamente, regolare o quanto meno comprensibile e comunicabile può forse essere anche qualcosa di molto profondo o di molto bello; ma se portiamo questo qualcosa sulla pubblica via oppure – ciò che più o meno facciamo con ogni lavoro artigianale – se lo rimettiamo alla collettività, esso apparirà vuoto, scadrà invariabilmente a pura forma e non varrà per noi più di un qualsiasi pezzo di legno che si trovi casualmente sul nostro cammino. In ogni caso è vero che qualsiasi lavoro artigianale o architettonico che abbia un certo valore, palesa sempre apertamente il suo carattere collettivo, esso tiene quindi senza alcun dubbio in grande considerazione le forme semplici della regolarità; ciò mostra l’alto significato che ha in ogni lavoro artigianale la regolarità formale, anche la più elementare, come per esempio l’uso della linea retta, del rettangolo, del cerchio, dell’angolo di 90°, della linea orizzontale, della verticale, ecc., (e questa ha senso soprattutto in architettura; perché tra i lavori artigianali è quello più legato all’elemento collettivo).

Anche la simmetria fa parte delle forme semplici di regolarità formale e noi non potremo mai capire lo spirito più genuino e la vera essenza di ogni lavoro artigianale senza amare profondamente nello stesso tempo la simmetria.

Se cerchiamo di disegnare la pianta di una casa in ogni sua parte in base al principio puro e semplice della praticità, e sempre secondo questo principio vogliamo determinare e distribuire i singoli locali, sistemare le finestre dove queste consentono l’illuminazione migliore, ecc., la casa apparirà certamente, in tutte le sue parti, irregolare e asimmetrica; lo stesso può dirsi anche per molti altri tipi di lavoro artigianale, o meglio, per tutti. Quando capita che un impulso impietoso ci spinge a cercare dovunque la praticità e la funzionalità, finiamo invariabilmente per pensare ogni cosa in modo storto e disordinato.

Se ci occupiamo della simmetria, notiamo che la nostra attenzione viene attirata sempre e soprattutto dalla linea centrale o asse di simmetria (così come sempre avviene che il cerchio provochi in noi il desiderio di trovarne il punto centrale); quando trattiamo una superficie piana secondo un ordine simmetrico e però non facciamo sufficiente attenzione, in seguito potremo notare che non ci siamo minimamente staccati dal centro o dall’asse, ed è per questo motivo che spesso la simmetria è di una rigidità così sgradevole.

Se seguiamo meccanicamente la forza espressa dall’asse di simmetria, questa alla fine ci porterà a disegnare nella superficie simmetrica – disegno 1 – l’asse come una linea; a questo punto – disegno 2 – la simmetria risulta assolutamente rigida, inerte, spezzata, in quanto abbiamo diviso la superficie simmetrica originale in due superfici simmetriche.

Scostiamoci un poco dal dominio dell’asse di simmetria e lontano da questo, inseriamo nuove figure, come nel disegno 3: l’interesse per l’asse rimane sempre vivo, ma il nostro interesse si divide ora tra l’asse e le nuove figure e il nostro sguardo oscilla tra l’uno e le altre, così che l’insieme si anima all’improvviso. Questo risultato si può ulteriormente perfezionare allontanando il più possibile le nuove figure dall’asse, dando loro maggiore rilievo come per esempio nel disegno 4.

La distribuzione delle singole forme raccolte intorno all’asse di simmetria, come nel disegno 5, dimostra di nuovo un cedimento di fronte all’autorità dell’asse e tende per questo a essere rigida; si nota subito

qualcosa di inerte o di vuoto, nonostante la complessità delle forme che intervengono, mentre una composizione simmetrica della superficie –come nel disegno 6 – arricchita dall’inserimento di alcune figure laterali, esprime l’ordine di un gesto contenuto. In un edificio l’asse di simmetria, che corre sempre verticalmente, tende a richiamare su di sé tutta l’attenzione; questo fatto può essere efficacemente equilibrato creando delle linee orizzontali, laddove occorre concentrare un determinato numero di forme sull’asse verticale. La rigidità simmetrica che ne consegue potrà essere eliminata da linee orizzontali a cui venga dato particolare rilievo, cosa che è evidenziata nei disegni 7 e 8; a dire il vero però le linee orizzontali equivalgono in questo caso a una cura per cavalli, hanno cioè un effetto tanto violento da cancellare quasi completamente l’effetto più sottile dell’asse di simmetria, oppure da privarlo di ogni interesse come nel disegno 9, che deve essere visto contrapposto al disegno 10. Quando, per un determinato motivo, intendiamo dare particolare rilievo all’asse di simmetria, come nei disegni 5 e 11, avviene spesso che, colleghiamo la prima immagine con una seconda, rispetto ad essa simmetrica, come nel disegno 12; allora spostiamo il nostro sguardo da un asse all’altro, che ha uguale potere di attrazione del primo, tanto che ne risulta un’immagine complessiva molto ricca, che tuttavia resta saldamente tenuta insieme dall’asse principale. In fondo, dall’unione di due figure: nasce una nuova immagine simmetrica – come nel disegno 6 – il cui asse rimane invisibile; ma il fatto che in un edificio doppio di questo genere sia dato tanto rilievo ai particolari, conferisce all’insieme una forza straordinaria, che rimane però molto contenuta senza per questo risultare irrilevante. Particolarmente bello chiaro risulta questo effetto per esempio in molte chiese antiche a due torri. In particolare il senso di rigida severità che esprimono a volte le torri gotiche con il loro verticalismo così accentuato, viene equilibrato con l’aggiunta accanto alla prima di una seconda torre identica; oppure quel senso di aspra presenza che così spesso hanno le torri gotiche quando sono isolate può essere temperato da un improvviso andamento orizzontale delle linee nella parte più alta, come accade ad esempio a quelle torri che sono rimaste incompiute.

La simmetria sarà tanto migliore quanto più difficilmente si riuscirà a distinguerne l’asse.

CONSIDERAZIONI CIRCA

IL DIVIDERE E IL COLLEGARE

«II dividere e il collegare», cioè a dire la distribuzione e la composizione degli elementi, è in verità un capitolo inesauribile; qui possiamo soltanto accennare a alcune questioni essenziali che riguardano da vicino il nostro lavoro. A ben vedere non esistono delle parti così come non esiste un tutto, infatti ogni parte forma un tutto compiuto così come ogni intero rappresenta pur sempre una parte; è per questo che possiamo usare questi due termini soltanto nel loro senso più comune.

Le parti di un tutto, per esempio le gambe oppure il sedile o lo schienale di una sedia, possiedono sempre un carattere loro proprio che non deve essere contraddetto. Se, come nella figura 20, lo schienale viene collegato alle gambe posteriori, facendo proseguire ininterrottamente, queste ultime oltre il sedile fino a raggiungere lo schienale stesso, probabilmente avremo realizzato una buona soluzione dal punto di vista tecnico; tuttavia questa soluzione dà luogo nel punto in cui le gambe diventano elemento dello schienale – quindi all’altezza del sedile – a una forma inespressiva. Il punto «a» risulta irrisolto perché il carattere proprio dello schienale e quello delle gambe si annullano a vicenda; potremmo anche dire che, se il pezzo di legno in questione possedesse una sensibilità sua propria, mostrerebbe una particolare reazione nel punto preciso in cui incontra il sedile; qui invece prosegue imperturbabile.

Per fare un confronto si consideri nelle figure 21 e 22 il disegno di una sedia in cui le parti sono chiaramente distinte una dall’altra.

Quanto più riusciamo a suddividere e a comporre, tanto migliore sarà il risultato; per far questo la natura ci potrà sempre essere di esempio: in essa tutto si articola fin nei minimi particolari e tutto si compone in un insieme unitario. La natura però non è un artigiano, potremmo porci come obiettivo quello di realizzare i mobili di una stanza in modo che differiscano fra loro sia per il materiale che per la forma e il colore; questo può essere un obiettivo; ma è troppo lontano, non riusciremo mai a raggiungerlo. Se osserviamo attentamente l’armadio di una stanza ci renderemo conto che esso richiede un legno e un colore diversi da quelli della sedia, così come le foglie del salice sono diverse da quelle della canna che pure gli cresce accanto; ma dobbiamo fare attenzione: laddove separiamo dobbiamo anche collegare e ricollegare, altrimenti alla fine quanto ci circonda avrà l’aspetto del mondo il giorno prima della creazione. Fra qualcosa di esageratamente minuzioso e qualcosa di inutilmente grossolano c’è una linea di equilibrio che occorre trovare. Per esempio nella sedia delle illustrazioni 21 e 22 le gambe, lo schienale, il sedile, e nello stesso sedile il telaio e l’imbottitura, sono separati; tuttavia le singole parti sono anche collegate fra loro. Ciò che le unisce è la linea unitaria della loro curvatura, oltre a questo c’è poi un listello che serve a marcare questa unità, collegando la parte inferiore del telaio alle gambe, ma dove

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