GENNAIO/FEBBRAIO 2020
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GENNAIO/FEBBRAIO 2020
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Cominciamo anche questo numero di P&P parlando di Albania e di Italy for Ho.Re.Ca., la manifestazione fieristica che DMP (editore di P&P) organizza a Tirana: è stata spostata la data della manifestazione, che slitta a Ottobre (dal 15 al 18). Ai problemi causati dal sisma che ha colpito l’Albania, fino a quelli sanitari che hanno colpito invece l’Italia, è sembrata la cosa più giusta da fare.
I piatti principali di questo numero sono una serie di sondaggi e ricerche dedicati a diversi temi fondamentali nel mondo professionale: a cominciare da quello con cui il Cerved ha cercato di scattare una fotografia dei trends più importanti nel mondo della panificazione.
L’inizio di un nuovo anno infatti, particolarmente quando coincide con un evento fieristico che è un momento di riferimento per i settori professionali cui anche P&P si rivolge, è l’occasione per fare i bilanci dell’anno trascorso, e le previsioni per quello appena cominciato.
Dalla ristorazione al pane, dalle enoteche (in aumento) al lievito, scoprite nelle pagine di P&P andamento e tendenze di diversi comparti - e anche tutto quello che è successo nei padiglioni di Fiera di Rimini nell’edizione 2020 di Sigep.
Molte le gare a Rimini, ma P&P si occupa anche delle Olimpiadi di cucina che si sono svolte invece in Germania e di una iniziativa chiamata “Vassoio Italia”, che non è una gara, ma anche se con modalità diverse vuole mettere insieme e un po' anche far ‘sfidare’ tra loro i migliori pastry chefs italiani.
La parte delle ricette cade in questo numero tutta intera sulle spalle del Maestro Nico Carlucci, anche lui reduce da un Sigep da protagonista di laboratori e lezioni; infine, vi segnaliamo anche una curiosa discussione (nata, ovviamente, in rete): è buona la pasta cotta in acqua fredda? Se vi suona strano, scoprite di più nelle nostre pagine. Buona lettura!
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Ci stiamo avvicinando al settantacinquesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale: chi ha vissuto quell’anno (circa) tra estate ’44 e aprile ’45 in centro e nord Italia conosce la Paura. Non sono certo che quella, vera paura abbia molto a che spartire con l’Italia di oggi. Cosa intendo dire?
L’Italia è un Paese ridotto alla paura. Ormai abbiamo paura di tutto, indipendentemente da quanto queste paure siano reali o meno. E anche quando originano da cause concrete, tendiamo a perdere la misura.
La paura ci blocca. Le paure ci bloccano. Anche quelle immotivate, o ingigantite fuor di misura. Alla fine è un clima generalizzato: e tutti alziamo i
nostri piccoli o grandi ponti levatoi, e tutti ‘tagliamo’ qualcosa, o qualcuno non per cause vere, ma perché ‘potrebbe’. Tutti ci mordiamo la lingua, e quanto più le paure diventano Paura, tanto più smettiamo di pensare con ragionevolezza e diventa difficile dire ‘il re è nudo’.
Se tutti noi cittadini italiani provassimo ad avere meno paura/e, cominciando dal capire quali siano immotivate o esagerate, potremmo aiutarci a vicenda eliminarle; se usassimo più ragione e buon senso, invece dell’istinto, della pancia, potremmo essere una società e dei cittadini migliori, e soprattutto delle persone, migliori.
Buon Lavoro a tutti!
La prima edizione del nuovo evento feristico organizzato da DMP in Albania posticipata a ottobre, per dare maggior tempo ai settori interessati alla manifestazione di tornare al lavoro superando le conseguenze del sisma che ha interessato alcune regioni del Paese nei mesi scorsi.
Una prima, forte scossa a novembre, seguita da decine di altre che hanno tormentato l’Albania dalla fine di novembre 2019: se per fortuna le vittime sono state in numero ridotto, il proseguire delle scosse ha inciso sullo scenario e sul clima economico. Meglio lasciare il tempo per una maggiore ripresa: per questo Italy for Ho.Re.Ca. ha deciso di spostare la propria data. Si svolgerà dal 15 al 18 ottobre, sempre presso il quartiere espositivo Expocity di Tirana. Cambiano le date, non il target della manifestazione: aumentare la presenza italiana nell’industria turistica, ho.re.ca., della ristorazione nei Balcani.
Con circa 105 milioni di visitatori ogni anno nei Balcani, la regione è diventata un'importante destinazione turistica in virtù di tutto ciò che ha
da offrire a coloro che vengono ad esplorare la regione.
Da un punto di vista economico, i viaggi e il turismo promuovono l'occupazione, le esportazioni, le riserve supplementari in valuta estera, la tecnologia avanzata, una catena di approvvigionamento nazionale migliorata, i consumi domestici, gli investimenti di capitale privato e le spese del settore pubblico, compresi gli investimenti di capitale per voci di bilancio come musei, parchi nazionali e infrastrutture di trasporto. Tra i vari paesi dei Balcani, il turismo rappresenta una parte significativa del loro prodotto interno lordo (PIL), raggiungendo il 10% in Albania, il 13,6% in Bulgaria, il 18% in Grecia e il 20% in Croazia rispetto al 9% per l'Unione europea dal 2013.
Regione tormentata, è vero, ma che negli ultimi anni sembra aver ritrovato la pace e guardare con più fiducia al futuro, riscoprendo contemporaneamente le antiche tradizioni di ospitalità e cosmopolite.
Oggi, viaggiare è più facile e più accessibile che mai con servizi speciali per soddisfare le esigenze di tutti, compresi studenti, anziani e viaggiatori con esigenze speciali. Un accesso rapido alle informazioni relative a siti storici, ristoranti, negozi, alloggi notturni, trasporti, piste ciclabili e altro è sempre più disponibile attraverso applicazioni mobili all'avanguardia e altre tecnologie.
Sono tutti settori in cui l’imprenditoria italiana rappresentata all’interno di Italy for Ho.Re.Ca. può aiutare e stimolare la crescita grazie al know how e ai solidi rapporti che già uniscono le due sponde dell’Adriatico.
La Nazionale Italiana Cuochi ha vinto l’oro nella categoria Ristorante delle Nazioni alle Ika Culinary Olympics, la più grande competizione mondiale di cucina. Pur non vincendo nessun titolo assoluto, l’Italia ha piazzato anche numerosi propri rappresentanti nelle categorie individuali.
La Nazionale Italiana Cuochi nella competizione Ristorante delle Nazioni dove ha conquistato la propria medaglia d’oro ha presentato un menù di tre portate: starter, main course e dessert. L’Italia ha gareggiato con altre sette nazioni e ha preparato il proprio menu di tre portate per ben 110 persone: 100 fortunati scelti tra il pubblico e 10 giudici. Ecco il menù presentato dalla Nazionale Italiana: starter, salmone con manto di piselli, mousseline di salmone e spuma di agrumi e tartelletta di tartare di salmone e avocado, gelatina di finocchi e mele; main course, lombo di vitello con aglio nero e timo,
crumble di pane aromatizzato e terrina di vitello, foie gras, animella e cardoncelli, patata fondente con panna acida e confit di prezzemolo; dessert, mousse di cioccolato Earl Grey, gelato al thé, variazione esotica e tortino caldo di cioccolato alla mandorla. Quella vinta dalla nazionale italiana era una delle tante prove che costituiscono le Olimpiadi della cucina, una delle più importanti manifestazioni del settore. Sono stati complessivamente circa 1800 partecipanti, tra cui 110 squadre e circa 800 espositori, provenienti da 67 paesi a creare una magica atmosfera olimpica nelle sale espositive di Stoccarda dal 14 al 19
febbraio. Per la prima volta, le Olimpiadi Ika / Culinarie, si sono tenute parallelamente all'Intergastra e al Gelatissimo, attirando così oltre 100.000 visitatori nel quartiere fieristico della capitale dello stato federale del Baden-Württemberg.
Con una superficie di 117.000 m² e collegamenti di trasporto diretti, Messe Stuttgart, il centro fieristico della città, ha offerto le condizioni logistiche perfette per accogliere il flusso di visitatori e partecipanti. L'organizzatore della Ika, la Verband der Köche Deutschlands (Vkd), l’associazione degli Chefs tedeschi, ha ricevuto un supporto speciale in loco dal grande lavoro svolto da Messe Stuttgart, Dehoga Baden-Württemberg e dai numerosi membri onorari (Vkd).
In un totale di 22 cucine professionalmente attrezzate costruite appositamente per l'Ika, i team hanno cucinato circa 8.000 pasti per i visitatori durante i quattro giorni della competizione, creando tendenze culinarie. "Mentre quattro anni fa sono state cucinate molte cose alle Olimpiadi culinarie, la tendenza all'Ika 2020 è stata ancora una volta verso la cottura a fuoco aperto", ha riassunto il presidente della giuria Ika Frank Widmann.
In termini culinari, la tendenza delle Olimpiadi culinarie di quest'anno si è allontanata da prodotti insoliti e costosi. "Invece, i team sono riusciti a creare un sapore unico e straordinario con prodotti semplici e regionali del proprio paese", ha dichiarato Widmann. Il presidente della giuria è stato assistito
nella valutazione dei piatti da un totale di 67 giurati provenienti da tutto il mondo. Questa volta, i campioni olimpici sono stati la Norvegia nella categoria squadre nazionali, la Svezia nella categoria squadre nazionali giovanili e la squadra nazionale culinaria Danimarca nella categoria comunità di ristorazione e squadre militari. Le Cercle des Chefs de Cuisine Lucerne ha vinto la Coppa Ika. L'atmosfera emotiva durante le Ika / Culinary Olympics è stata generata non solo dagli chef professionisti in bianco, ma anche dai numerosi fan che hanno tifato per le loro squadre davanti alle cucine di vetro e hanno condiviso l'eccitazione delle loro squadre. Dall'apertura dell'Ika il 14 febbraio alla grande cerimonia di premiazione il 19 febbraio, hanno creato momenti emozionanti ogni singolo secondo con bandiere, canti dei fan e entusiasmo. L'Ika non solo ha offerto agli chef l'opportunità di competere in modo equo con i professionisti di tutto il mondo, ma anche di celebrare la comunità della gilda bianca. "Le Ika / Culinary Olympics sono la cornice perfetta per la famiglia internazionale di chef che si riuniscono e si dedicano alla nostra grande passione condivisa: cucinare", afferma Richard Beck, Presidente del Vkd. “Ancora una volta, le Olimpiadi culinarie sono state un'esperienza molto commovente per tutti i partecipanti, visitatori, fan - e per me. Noi dell'associazione tedesca dei cuochi unici stiamo già aspettando altre due grandi Olimpiadi culinarie Ika a Stoccarda nel 2024 e nel 2028”.
Fonte: Ufcio stampa Ika
Nei padiglioni della fera di Rimini, Gruppo Eurovo ha presentato nuovi prodotti ad altissima componente di servizio e deliziato i visitatori con un ricco programma di showcooking: Sigep 2020 è stato un grande successo per Gruppo Eurovo.
Era altissima l’aspettativa sui nuovi prodotti che il Gruppo Eurovo avrebbe presentato durante la più importante manifestazione del settore. Il Gruppo Eurovo ha deciso di farlo in grande stile, organizzando un esclusivo evento dedicato ai più importanti clienti, sabato 18 gennaio presso il Teatro Galli, con il comico Paolo Cevoli in veste di intrattenitore d’eccezione.
Durante l’evento Gruppo Eurovo ha presentato La Meringa Francese e Sponge Cake & Bisquit, che vanno ad arricchire l’assortimento della linea Eurovo Service Bakery Innovation: insieme a Meringa Evolution e Pâte À Bombe, sono quattro semilavorati a base di uova 100% italiane di categoria A da allevamento a terra, con elevatissima componente di
servizio, pensati per valorizzare le applicazioni in alta pasticceria, gelateria, gastronomia e ristorazione. In particolare, La Meringa Francese è un semilavorato a base di albumi d’uovo pastorizzati con una miscela di zuccheri. Destinata alla cottura in forno, può essere utilizzata per prodotti a base di meringhe alla francese. Sponge Cake & Bisquit invece, è un semilavorato a base di misto d’uovo e tuorli d’uovo pastorizzati con zucchero, ideale per la cottura in forno e per la produzione di Pan di Spagna e Bisquit. I vantaggi della linea sono numerosi: Bakery Innovation offre prodotti che consentono un notevole risparmio di tempo, perché la prima fase di produzione è effettuata industrialmente da Eurovo come farebbe un professionista, con la differenza che la tecnologia Eurovo consente l’utilizzo di una miscela di zuccheri alternativi difficile da eseguire in maniera artigianale. Inoltre i prodotti sono pronti all’uso in planetaria e permettono di creare ricette standardizzate codificandole in modo replicabile. I prodotti Bakery Innovation sono stati i protagonisti assoluti del ricco calendario di showcooking offerto da Eurovo al proprio stand, con Giuseppe Gagliardi, Denis Dianin ed Ernst Knam, ai quali si sono aggiunti Luca Montersino, Luigi Biasetto e diversi pasticceri “junior” come Giorgio Derme.
Naturalmente presenti in fiera i prodotti della Prima Linea Eurovo Service che hanno reso Eurovo, negli anni, un fornitore prezioso e affidabile per molti professionisti, e quelli della Linea Élite, da uova di categoria A 100% italiane da allevamento a terra provenienti da una filiera completa, certificata e integrata verticalmente.
Promessa mantenuta, dunque, da Eurovo: l’eccellenza è stata protagonista assoluta della presenza del Gruppo a Sigep, dove Eurovo ha invitato tutti a incontrare “the Eggcellence”.
Nasce a Reggio Emilia il primo corso per diventare casaro del Parmigiano Reggiano Dop. Lo annuncia il Consorzio di tutela che, proprio in questi giorni, ha dato vita ad un percorso destinato a valorizzare un patrimonio fatto di antichi gesti che si tramandano di generazione in generazione.
Da sempre attento alla formazione e all’aggiornamento professionale, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha voluto organizzare il corso a titolo gratuito per ribadire l’impegno nella tutela delle tradizioni e per salvaguardare il mestiere del casaro che è di importanza cruciale per tutto il comparto. Un comparto che raggruppa 330 caseifici, 2.600 allevamenti e che produce circa 10 mila forme ogni giorno, per un giro d’affari al consumo che supera i 2,4 miliardi di euro. Il corso – rivolto a giovani casari, aiuto casari, garzoni già coinvolti nelle attività di caseificio – intende fornire le competenze di tecnologia casearia utili alla trasformazione del latte in Parmigiano Reggiano Dop. Un formaggio unico, che si produce oggi come nove secoli fa: con gli stessi ingredienti (latte, sale e caglio), con la stessa cura artigianale e con una tecnica di produzione che ha subito pochi cambiamenti nei secoli, grazie alla scelta di conservare una produzione del tutto naturale, senza l’uso di additivi. Un lavoro duro, che non ammette scorciatoie, che comincia alle quattro del mattino e per il quale si lavora 365 giorni l’anno, senza interruzioni di sorta.
Il corso – della durata di quattro mesi, da febbraio a maggio – prevede dieci uscite presso altrettanti caseifici per permettere ai diciotto partecipanti di svolgere
esercitazioni pratiche. A queste si sommano sessanta ore di lezioni teoriche serali volte ad approfondire la conoscenza in merito alla materia prima, alle lavorazioni in caseificio, al Disciplinare di Produzione, alle normative vigenti e ad altri aspetti gestionali e di valorizzazione del prodotto trasformato. Le lezioni e le esercitazioni pratiche saranno condotte principalmente da personale del Consorzio con la preziosa collaborazione di casari esperti e docenti esterni, cultori di tematiche specifiche.
“Il casaro, con le sue abili mani, riesce a mettere in pratica i segreti imparati e tramandati da generazioni. Si tratta di un lavoro duro, fatto di fatica e dedizione che è importante preservare e valorizzare. Siamo felici della buona risposta di adesione a questo primo corso a Reggio Emilia. Nei prossimi anni il Consorzio dedicherà attenzione e risorse specifiche per sostenere tali iniziative in maniera diffusa in tutta la zona di origine della Dop. Assicurare la conservazione delle competenze necessarie ai caseifici è un pilastro imprescindibile per salvaguardare la qualità del formaggio Dop più importante al mondo”, commenta Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio.
Fonte: Consorzio Parmigiano Reggiano
La sicurezza alimentare riguarda tutti noi, e nella vita quotidiana vogliamo naturalmente evitare i cibi che mettono a rischio la nostra salute. Chi valuta cosa è sicuro da mangiare e cosa no? Su cosa si basano le loro decisioni? Una spiegazione può essere trovata osservando più attentamente i processi di valutazione del rischio.
La valutazione del rischio di un alimento o ingrediente include l'identificazione e la caratterizzazione del pericolo, la valutazione dell'esposizione e la caratterizzazione del rischio. Ciò porta ad una decisione in merito all'opportunità di adottare eventuali misure legali per prevenire danni causati da tale alimento o ingrediente.
Le organizzazioni per la sicurezza alimentare valutano continuamente se il cibo nuovo o quello già esistente sia sicuro da mangiare. Possono valutare interi gruppi di alimenti, come carne lavorata, oppure ingredienti alimentari, come
singoli additivi. Queste organizzazioni possono essere globali, come il Codex Alimentarius e il Comitato congiunto di esperti Fao/Oms sugli additivi alimentari (Jecfa). Alcune organizzazioni sono regionali, come l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), mentre alcune sono nazionali, come la francese Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail (Anses) e la tedesca Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR).
Nella valutazione della sicurezza del cibo c'è una distinzione tra valutatori del rischio e gestori del rischio. I valutatori del rischio sono organizzazioni che valutano la potenziale nocività di un alimento o ingrediente. Il Jefca e l'Efsa, ad esempio, sono valutatori del rischio. In Europa, i valutatori del rischio collaborano con i gestori del rischio (come la Commissione europea, gli Stati membri e il Parlamento europeo), che stabiliscono la legislazione in materia di cibo o ingrediente valutato. In breve, i valutatori del rischio esaminano i dati scientifici disponibili sulla sicurezza di un determinato alimento o ingrediente e forniscono informazioni o raccomandazioni ai gestori del rischio. I gestori del rischio infine decidono se devono essere messe in atto eventuali misure legali, ad esempio approvando o limitando l'accesso al mercato di determinati ingredienti. Un gestore del rischio, mettiamo la Commissione europea, uno Stato membro o un richiedente indipendente come una società che desidera utilizzare un nuovo additivo nel proprio prodotto,
chiede a un valutatore del rischio, ad esempio all'Efsa, un parere sulla sicurezza e sull'uso di un determinato alimento o ingrediente.
Gli esperti selezionati dell’Efsa valutano i dati scientifici disponibili e formulano una bozza di parere. I dati possono essere forniti da un richiedente, oppure l'Efsa può richiedere ulteriori informazioni dagli organismi nazionali, industrie, istituti di ricerca e da altre fonti rilevanti. I gruppi possono anche chiedere contributi sulla bozza di parere attraverso consultazioni pubbliche. Tenendo conto dei dati scientifici e delle discussioni, l'Efsa presenta il proprio parere finale al gestore del rischio richiedente. Il gestore del rischio considera questo parere insieme ad altri elementi, ad esempio aspetti economici o opinioni politiche, al fine di decidere su eventuali misure legislative riguardanti il cibo o l'ingrediente. In questo modo, la scienza e la legislazione sono tenute separate, ma ancora strettamente correlate.
Qual è invece la differenza tra pericolo e rischio?
L'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che, per eseguire una valutazione approfondita del rischio, dovrebbero essere esaminati sia i pericoli che i rischi. Pericolo e rischio sono termini che vengono spesso usati erroneamente e in modo intercambiabile, ma in realtà non sono la stessa cosa.
Il pericolo è qualcosa che può causare danni,
come un fulmine. Il rischio è la probabilità che questo pericolo causi danni e dipende dalla tua situazione. Per esempio, se si è in casa durante una tempesta, il rischio di essere colpiti è basso. Se si è all'aperto, il rischio è maggiore. In altre parole: minore è l'esposizione (in termini di dose e durata) ad un pericolo, minore è il rischio.
Durante la valutazione del rischio, ci sono alcuni passi da seguire per valutare i pericoli e i rischi connessi ad un alimento o ingrediente.
Identificazione del pericolo: "Questo cibo o qualcosa in esso può essere dannoso?” I valutatori del rischio raccolgono e esaminano i dati scientifici e identificano i pericoli biologici o chimici presenti negli alimenti.
Caratterizzazione del pericolo: "Che effetti provocano i pericoli?” I valutatori del rischio valutano i dati scientifici per determinare se le prove siano sufficientemente forti da dimostrare che una sostanza ha il potenziale di causare danni. Studiano la natura di questi effetti sulla salute e, ove possibile, calcolano un livello di esposizione sicuro.
Valutazione dell'esposizione: "Chi può essere danneggiato e a quale livello l'esposizione può essere dannosa?” Gli esperti stimano la quantità di alimenti o ingredienti cui i consumatori in generale, i gruppi di popolazione come neonati, bambini, adulti o sottopopolazioni (ad esempio vegetariani, vegani) saranno probabilmente esposti in condizioni di vita reale, in cui sia la dose che la durata sono considerate. L'esposizione deve essere valutata per determinare se un pericolo presenti un rischio reale. Con l'aumentare dell'esposizione, aumenta anche il rischio. Caratterizzazione del rischio: "Quante probabilità ci sono che le persone saranno sottoposte a un livello di esposizione che può causare danni nella vita reale?” Il passo finale è quello di formulare una conclusione definitiva sul livello di rischio. I passi precedenti vengono presi in considerazione per calcolare la probabilità che il cibo o l'ingrediente causeranno danni in base alla natura del pericolo e al livello di esposizione. Il livello di esposizione che può causare danni viene confrontato con il livello effettivo di esposizione cui qualcuno potrebbe essere sottoposto nella vita reale. Se il livello di esposizione è superiore a quello che causa danno, ci potrebbe essere un problema di sicurezza per i consumatori in generale o per gruppi specifici. È importante ricordare che la caratterizzazione del pericolo esamina la forza delle prove che una sostanza sia dannosa. Ad esempio, il Programma Monografie della Iarc esamina se un elemento
possa causare il cancro senza considerare se il livello cui le persone sono esposte sia abbastanza alto da aumentare effettivamente il rischio di cancro. La Iarc svolge il passo di caratterizzazione del pericolo della valutazione del rischio e classifica i rischi in gruppi da 1 a 4. La collocazione nel Gruppo 1 indica che ci sono forti prove scientifiche di cancerogenicità di un agente, sia esso cibo o ingrediente, mentre la collocazione nel Gruppo 4 indica che ci sono prove sufficienti per affermare che l'agente è probabilmente non cancerogeno per gli esseri umani. Se le prove sono carenti, inadeguate o non conclusive negli esseri umani, l'agente sarà inserito nel Gruppo 2 o 3.
Due agenti dello stesso gruppo non possono essere confrontati basandosi solo sulla loro collocazione dopo una caratterizzazione del pericolo, in quanto i loro rispettivi rischi e conseguenze nella vita reale possono essere molto diversi quando viene presa in considerazione anche la valutazione dell'esposizione. La mancanza di chiarezza sulla distinzione tra pericolo e rischio ha portato ai titoli fuorvianti nel corso degli anni, a volte dando l'impressione che
gli esperti si contraddicano a vicenda. Ad esempio, nel 2015, la Iarc ha classificato la carne lavorata, come cancerogeno del Gruppo 18 - ovvero lo stesso gruppo dell'amianto e del tabacco. Ciò significa che ci sono prove convincenti che la carne lavorata può causare il cancro, secondo la caratterizzazione del pericolo. Ciò ha portato i giornali ad affermare che la carne lavorata è dannosa come il tabacco. Altri esperti hanno detto che le cose non stanno così. Quindi, su cosa si basano le loro affermazioni?
Il punto importante è che alcuni media non erano a conoscenza della differenza tra pericolo e rischio, e perciò hanno preso la conclusione della Iarc sulla caratterizzazione del pericolo per una valutazione completa del rischio. L'Oms ha successivamente chiarito questo fraintendimento, sottolineando come la classificazione Iarc indichi che ci sono prove sufficienti per affermare che la carne lavorata può provocare il cancro, ma ciò non significa che la carne lavorata e tabacco siano ugualmente pericolosi o che comportino lo stesso rischio per la salute nonostante siano collocati nello stesso gruppo Iarc.
Prendere una caratterizzazione del pericolo per una valutazione completa del rischio può quindi dar luogo a conclusioni sbagliate. L'Oms ha dichiarato che non è stato identificato un livello di consumo sicuro e che il rischio aumenta con la quantità consumata. Molte linee guida alimentari consigliano di limitare la quantità di carne rossa e lavorata, ma queste raccomandazioni sono volte principalmente a ridurre l'assunzione di grassi e sodio. Tuttavia, le persone che sono preoccupate per il cancro potrebbero moderare il loro consumo di carne rossa e lavorata.
Le valutazioni complesse della sicurezza del cibo che mangiamo sono costituite da diversi passi. I valutatori del rischio esaminano le prove, definiscono i pericoli e valutano i rischi prima di offrire il proprio parere scientifico ai gestori del rischio. I gestori del rischio a loro volta decidono se e quali misure devono essere prese per prevenire danni. La rete globale di valutatori e gestori del rischio assicura che possiamo goderci il nostro cibo senza essere preoccupati che esso possa rappresentare una minaccia per la nostra salute. Osservare solo parti di un processo di valutazione del rischio può portare a conclusioni frettolose, dando impressioni sbagliate sui rischi associati agli alimenti o ingredienti specifici.
Siamo entrati negli Anni ’20 del Duemila e in un mondo che continua a cambiare grande velocità è lecito immaginare che cambino anche i regali di Natale: il futuro (prossimo) oltre al panettone potrebbe mettere sotto l’albero televisori con schermi pieghevoli, occhiali da sole a tecnologia a conduzione ossea, sveglie che preparano il cafè o gadget per la realtà virtuale.
Le innovazioni tecnologiche hanno contribuito a semplificare la vita di tutti i giorni garan-tendo nuove forme di intrattenimento e nei prossimi anni rivoluzioneranno anche il modo di celebrare le festività natalizie. Basti pensare che secondo una recente ricerca pubblicata su Cbs News si stima che il prossimo Natale i regali saranno consegnati attraverso dei droni, trasformando radicalmente il modo dello
shopping. Ma quali saranno alcuni dei prodotti più curiosi del futuro? Secondo una ricerca pubblicata sul New York Times tra i regali hi-tech più richiesti figurano i televisori con schermi pieghevoli, ideali per adattarsi a qualsiasi dimensione della propria stanza, e gli occhiali da sole a tecnologia a conduzione ossea, ottimi per ascoltare musica in maniera non convenzionale. E ancora, secondo una ricerca pubblicata su Business Insider saranno disponibili sul mercato anche sveglie che preparano il caffè. Ma non è tutto, perché secondo un’indagine di Global Web Index pub-blicata su Fortune un millennial su 4 inserisce i gadget per la realtà virtuale in cima alle preferenze dei regali natalizi. Largo spazio anche agli avatar che negli anni a venire per-metteranno a milioni di utenti di beneficiare di servizi digitali customizzati e festeggiare il Natale in maniera interattiva. È quanto emerge da un monitoraggio condotto da Espresso Communication per Igoodi, la prima factory di avatar 100% made in Italy, su oltre 50 te-state internazionali per capire quali saranno i regali che gli italiani troveranno sotto l’albero nel decennio che sta per cominciare.
Ma cosa ne pensano gli esperti d’innovazione tecnologica? “Le festività del futuro offri-ranno potenzialità interessanti per via delle continue evoluzioni tecnologiche e permette-ranno un’interazione maggiore tra mondo reale e digitale”, spiega Billy Berlusconi, Ceo di Igoodi. “Grazie a numerosi anni di ricerca, investimenti, collaborazioni con importanti università siamo in grado di offrire alle aziende e agli enti che guardano al futuro una piattaforma in grado d’integrare l’avatar, ovvero l’io digitale degli utenti, con l’universo dei servizi digitali, sempre più importanti per la nostra vita e per il business. Disponendo del proprio avatar infatti le persone potranno beneficiare di servizi digitali customizzati, attualmente in fase di sviluppo e
disponibili per il mercato B2B, in una modalità completamente nuova e più ingaggiante rispetto al passato: ad esempio si potrà regalare un buo-no per realizzare il proprio avatar o mandare il proprio io digitale a provare i vestiti 4.0 per noi”.
I cambiamenti del futuro riguarderanno anche il modo di decorare gli alberi natalizi, da sempre simbolo di tradizione. Secondo una recente ricerca pubblicata sul portale britanni-co The Telegraph, infatti, le decorazioni saranno interamente realizzate con la realtà au-mentata anche per far fronte all’inquinamento atmosferico: ogni anno vengono lasciati in discarica milioni di alberi producendo 100mila tonnellate di gas serra. Ma non è tutto, per-ché gli esperti stimano che entro il 2050 le famiglie potranno abbattere le distanze intera-gendo tra loro come se fossero fisicamente nella stessa stanza.
Ed ecco la lista dei 10 regali di Natale più rivoluzionari degli anni ‘20 segnalati dalle più autorevoli testate internazionali.
Televisori con schermi pieghevoli: la migliore della qualità e il massimo del comfort, ideali per adattarsi a qualsiasi dimensione della propria stanza;
Occhiali da sole a tecnologia a conduzione ossea: perfetti per ascoltare musica in maniera non convenzionale;
Sveglie che preparano il caffè: un particolare
meccanismo collega il suono della sveglia al piano cottura in acciaio inox. Un’ottima soluzione per iniziare la giornata con la giusta ca-rica;
Avatar: molto presto regalare un buono per creare il proprio avatar e sarà possibile man-dare il proprio io digitale a fare shopping per provare ad esempio i vestiti;
Le fasce per dormire meglio: grazie a dei sensori che si posizionano vicino l’orecchio è possibile ascoltare suoni rilassanti per combattere l’insonnia;
Letti con Home Cinema 4K integrati: lo smart bed perfetto per chi ama avere la qualità dei grandi film comodamente a casa;
Robot con sistema di navigazione integrato e display: utile per gestire la domotica e con-trollare quello che avviene in alcune stanze;
La forchetta che aiuta a dimagrire: dotata di sensori che controllano le calorie assunte e monitorano e i movimenti della bocca. Se si consuma del cibo velocemente si viene avver-titi da una vibrazione accompagnata da luce intelligente;
La toilette intelligente: dotata di altoparlanti surround incorporati, illuminazione atmosfe-rica e comandi vocali;
Vestiti che monitorano i battiti cardiaci e la pressione sanguigna: ottimi per tenere sempre sotto controllo le proprie condizioni fisiche, prevenendo possibili malori.
Dai sistemi gps all’utilizzo dei droni, dai sensori nei campi alle etichette intelligenti fno ai sistemi di avanguardia nella produzione ecocompatibile, il mercato dell’agricoltura precisione in Italia vale oltre 400 milioni di euro. E’ quanto emerge dall’analisi Coldiretti su dati dell’Osservatorio Smart AgriFood
Le nuove tecnologie in agricoltura si applicano in ogni settore della produzione, anche ai macchinari: in Italia sono già 1600 le mieti-trebbie con sistema di mappatura delle produzioni, ad esempio, mentre sono in continua espansione i trattori con guida satellitare Global Navigation Satellite System. L’agricoltura 4.0 di precisione rappresenta il futuro dei campi ed entro due anni – sottolinea l’analisi Coldiretti – mira a coinvolgere il 10% della superficie coltivata in Italia con lo sviluppo di applicazioni sempre più adatte alle produzioni nazionali su diversi fronti: dall’ottimizzazione produttiva e qualitativa alla riduzione
dei costi aziendali, dalla minimizzazione degli impatti ambientali con sementi, fertilizzanti, agrofarmaci fino al taglio dell’uso di acqua e del consumo di carburanti. Le opportunità offerte dall’agricoltura 4.0 con l’utilizzo dei Big Data Analytics e del cosiddetto “Internet delle cose” rischiano però spesso di non poter essere colte a causa dei ritardi nell’espansione della banda larga nelle zone interne e montane. Esiste purtroppo, viene messo in evidenza nel documento, un pesante “digital divide” tra città e campagna dove le nuove tecnologie sono uno strumento indispensabile per far esplodere le enormi risorse che il territorio può offrire. L’obiettivo è introdurre sistemi digitali altamente tecnologici all’interno dei processi produttivi e tecnologie moderne finalizzate ad ottenere l’aumento della produttività accompagnata, però, dalla riduzione dei costi e da un aumento della sostenibilità ambientale. In questa nuova sfida – sottolinea la Coldiretti – l’Italia può anche contare sul sistema dei Consorzi agrari che è già il riferimento di 300mila aziende diffuse capillarmente su quasi tutto il territorio con circa 1300 recapiti, comprese le aree più difficili, ed ha esteso l’operatività, dall’innovazione tecnologica ai contratti di filiera, dalle agroenergie al giardinaggio, dalla fornitura dei mezzi tecnici alla salvaguardia delle sementi a rischio di estinzione.
“Le nuove tecnologie digitali per l’agricoltura 4.0 di precisione sono uno strumento strategico per lo sviluppo delle aziende in un’ottica di una sempre maggiore efficienza ma anche per la sostenibilità ambientale e la lotta ai cambiamenti climatici nell’ambito del grande piano per il Green Deal europeo” conclude il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
Fonte: Coldiretti
Lo stato di salute del settore ristorazione e i nuovi trend dei consumi degli italiani nel rapporto 2019 curato da Fipe: cresce il numero delle imprese della ristorazione rispetto a un anno fa: 336mila di cui quasi una su tre gestita da donne e l'11,6% da cittadinistranieri. In aumento anche la spesa delle famiglie, che si assesta sugli 86 miliardi di euro nel 2019
Cambiano i ritmi di vita, i luoghi di consumo, gli stili alimentari, ma una cosa è certa: la passione degli italiani per il ristorante e la buona cucina non accenna a tramontare. Al contrario. Se si guarda ai dati messi in fila da Fipe, la Federazione dei Pubblici esercizi, all'interno del rapporto 2019, infatti, si nota come il settore della ristorazione stia conoscendo una stagione estremamente dinamica. Gli italiani non solo investono di più, ma lo fanno in maniera sempre più mirata, andando a ricercare la miglior qualità dei prodotti locali e un servizio attento alla sostenibilità ambientale.
Una marcia in più per un comparto che si muove all'interno di un quadro congiunturale niente affatto semplice, con un 2019 che ha visto il moltiplicarsi di forme di concorrenza sleale nel mondo del food. “Il mondo della ristorazione”, sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani, “è un grande asset della nostra economia e un patrimonio, anche culturale, del Paese. I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro siamo la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuiamo a far crescere l'occupazione e contribuiamo alla tenuta dei consumi alimentari: negli ultimi 10 anni, nonostante la crisi, gli
italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa, riducendo al contrario la spesa in casa. Merito di un'offerta che cresce in segmentazione dei format commerciali, in qualità dell'offerta gastronomica e in professionalità. I milioni di turisti che arrivano in Italia mettono proprio bar e ristoranti tra le cose che maggiormente apprezzano del nostro Paese."
Dall'analisi in dettaglio del rapporto 2019, si scopre che ogni giorno circa cinque milioni di persone, il 10,8% degli italiani, fa colazione in uno dei 148mila bar della penisola. Altrettante sono le persone che ogni giorno pranzano fuori casa, mentre sono poco meno di 10 milioni (18,5%) gli italiani che cenano al ristorante almeno due volte a settimana. Un vero e proprio esercito di persone che nel 2018 ha speso, tra bar e ristoranti, 84,3 miliardi di euro, l'1,7% in più in termini reali rispetto all'anno precedente e che nel 2019 ha fatto ancora meglio, arrivando complessivamente a spenderne 86 milioni.
La ciliegina sulla torta di un decennio che ha visto i consumi degli italiani spostarsi al di fuori delle mura domestiche: tra il 2008 e il 2018, infatti, l’incremento reale nel mondo della ristorazione è stato del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro, a fronte di una riduzione di circa 8,6 miliardi di euro dei consumi alimentari in casa. Una cifra, quest’ultima, che nel 2019 è salita a 8,9 miliardi di euro. Una performance che consente al mercato italiano della ristorazione di diventare il terzo più grande in Europa, dopo quelli di Gran Bretagna e Spagna e che ha ricadute positive sull'intera economia
italiana e in particolare sulla filiera agroalimentare.
Ogni anno, infatti, la ristorazione acquista prodotti alimentari per un totale di 20 miliardi di euro, andando a creare un valore aggiunto superiore ai 46 miliardi, il 34% del valore complessivo dell'intera filiera agroalimentare.
Ciò attira in maniera sempre più marcata i consumatori all'interno dei ristoranti è la tradizione. Il 50% degli intervistati da Fipe, infatti, cerca e trova nei locali che frequenta un’ampia offerta di prodotti del territorio, preparati con ricette classiche ma non solo. Il 90,7% dei clienti confessa di essersi fatto tentare da piatti nuovi e mai provati, mentre il 60,5% ammette di andare al ristorante anche per affinare il proprio palato. Tutti, o quasi, concordano, però su un punto: è fondamentale sapere ciò che si mangia. Il 68,1% dei clienti quando entra al ristorante, per prima cosa si informa sulla provenienza geografica dei prodotti, il 58,5% sui valori nutrizionali dei piatti e il 54,5% sull'origine e la storia di una ricetta. L'altro elemento che incide sulla scelta di un locale è la sua politica “green”. Sette consumatori su dieci sostengono infatti che sia importante che i ristoranti operino in modo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Il che significa, per il 37,7% degli avventori, che portino avanti politiche contro lo spreco alimentare dotandosi di doggy bag o rimpiattini, per il 36,7% che utilizzino materie prime provenienti da allevamenti sostenibili, mentre per il 33,3% che limitino l'uso della plastica. In questo panorama, quello dell'Italian sounding è
un problema che si sta estendendo sempre più e che ormai non vede coinvolti solo i prodotti italiani. Sempre più numerosi sono infatti i casi di plagio all'estero dei marchi dei principali ristoranti e delle pasticcerie italiane più note. Per questo è stato creato il marchio di riconoscimento “ospitalità italiana”, attraverso il quale il nostro Paese certifica che si tratta di ristoranti che utilizzano prodotti italiani e si ispirano ad autentiche ricette italiane con una forte enfasi sulle cucine del territorio.
Secondo l'ultimo censimento disponibile, sono 336mila le imprese della ristorazione attualmente attive. Sono 112.441 quelle gestite da donne che scelgono in un caso su due di aprire un ristorante. 56.606 imprese sono, invece, gestite da giovani under 35. Sono infine 45mila le imprese che hanno soci o titolari stranieri. Nel mondo della ristorazione l'occupazione rimane stabile rispetto allo scorso anno (1,2 milioni di dipendenti di cui il 52% donne) ma sul lungo periodo mostra un'impennata notevole, soprattutto rispetto agli altri settori dell'economia nazionale. Negli ultimi 10 anni fa, infatti, i posti di lavoro, misurati in unità di lavoro standard, in bar e ristoranti sono cresciuti del 20%, a fronte di un calo dell'occupazione totale del 3,4%.
Esistono alcune criticità strutturali nel mercato della ristorazione e alcuni fenomeni recenti. Da un lato il settore soffre ancora di un elevato tasso di mortalità imprenditoriale: dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti; dopo 3 anni abbassa le serrande quasi un locale su due, mentre dopo 5 anni le chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato che fa il paio con la bassa produttività di questo settore: il valore aggiunto per unità di lavoro è di 38.700 euro, il 41% più basso rispetto al dato complessivo dell’intera economia. Nel corso degli ultimi 10 anni il valore aggiunto per ora lavorata è sceso di 9 punti percentuali. La novità risiede invece nelle piaghe dell'abusivismo commerciale e della concorrenza sleale. Nei centri storici, nel corso degli ultimi 10 anni, si è impennato il numero di paninoteche, kebab e (finti) take away di ogni genere (+54,7%), mentre sono diminuiti i bar (-0,5%). Il pubblico esercizio deve fare i conti con una concorrenza ormai fuori controllo. Crescono soprattutto le attività senza spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri storici delle città più grandi.
Fonte: Uffcio Stampa Fipe
Nessun aumento Iva per bar, ristoranti o alberghi allo studio: lo precisa il Mef. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ribadisce che, come ha afermato chiaramente il ministro Roberto Gualtieri, l'esecutivo intende incentrare la riforma fscale sull'Irpef e di conseguenza non sta lavorando sull'Iva.
Non è previsto secondo il ministero dell’Economia “alcun aumento dell'imposta, in linea con l'impegno più volte ribadito dal Governo a disinnescare tutte le restanti clausole di salvaguardia”. Il ministero non esclude che ci possano essere interventi minori, limature delle aliquote, ma non nel quadro della riforma fiscale complessiva e quindi in ogni caso non significativi.
La discussione era nata alcune settimane fa in base a voci riportate da diversi organi di stampa, ma il ministero ha è voluto intervenire per rassicurare i comparti della ristorazione: non sono contemplati aumenti su alberghi, ristoranti, bar.
Neppure sulle enoteche, il cui numero continua a crescere in tutta Italia.
Aumentano del 4% in cinque anni le enoteche in Italia per un totale di 7.209 attività. Nell'ultimo anno sono stabili. Lo rileva la Camera di commercio di Milano, Monza, Brianza, Lodi e Coldiretti Lombardia su dati dei primi nove mesi del 2019. Dal report economico emerge che gli impiegati sono quasi 8 mila, "un numero”, si spiega in una nota, “che si mantiene stabile in un anno e in crescita del 10% in cinque anni".
Nelle singole città, i primi 10 comuni in Italia per numero di enoteche attive sono: Roma, al primo posto, con 345 enoteche (+1,5% in un anno e +35% in dieci anni), Napoli con 221 attività (-1% in cinque e dieci anni), Milano con 141 (+ 5% in un anno, + 72% in dieci anni), Torino con 121 (+ 5% in un anno e + 64% in dieci anni), Firenze con 91 (+2% in un anno e + 7% in dieci), Genova con 80 enoteche, Venezia con 68, Palermo con 62, Bologna con 57 e infine Bari con 50.
A livello di provincia è in testa Napoli (528, +3% in 5 anni), Roma (480, +3%) e Milano (259, +9%). Segue Torino (235, +6%), Bari (192), Firenze (172, + 5% in un anno), Brescia (166, stabile), Venezia (158, +7% in cinque anni), Padova (138, stabili). Tra le prime crescono di più nell'ultimo anno Firenze (+5% con 172), Palermo (+4% con 100), Catania (+7% con 91), Torino e Treviso (+2,6%, con 235 e 78 rispettivamente). Nella Lombardia le enoteche complessive nel 2019 sono 982 (+8,7% in cinque anni rispetto alle 903 attive nel 2014). Registrati oltre mille addetti, in crescita del +8,6% nel quinquennio.
Fonte: Ansa
L’azienda veneta festeggia il traguardo dei primi 30 anni di attività: una grande festa cui partecipano 650 collaboratori provenienti dalle fliali sparse in 37 Paesi nel mondo per celebrare il successo di una delle eccellenze italiane e un brand che ormai è conosciuto in tutto il mondo.
Nata nel 1990 a Cadoneghe ad opera di Enrico Franzolin, ora Presidente, la Società ha chiuso il 2018 con 123 milioni di euro di fatturato consolidato e si appresta a superarlo nel 2019 toccando i 134 milioni. “Quando trent’anni fa, in un garage, è cominciata l’avventura, non mi sarei mai aspettato di raggiungere questo traguardo e ne sono molto orgoglioso”, commenta Franzolin. “L’obiettivo era di convogliare energia, passione, idee divergenti per creare qualcosa che si differenziasse rispetto a tutto quello che era già presente nel mercato. E così è stato. Grazie all’entusiasmo e alla dedizione di tutti coloro che lavorano in azienda, Unox è riuscita a creare un ‘motore interno’ composto da persone in grado di
apportare miglioramenti continui e di raggiungere traguardi sempre più ambiziosi proiettandosi verso un grande futuro”.
Nel 1990 Unox irrompe nel mercato dei forni professionali con un prodotto che permette di cuocere pane e croissant senza prima scongelarli. Si afferma da subito come leader nel mercato grazie anche a una nuova tecnologia che garantisce la diffusione uniforme dell’aria utilizzando un sistema a ventole multiple. I primi forni sono stati frutto di idee, passione e pura artigianalità. Sempre alla ricerca di soluzioni innovative anche quando l'aiuto della tecnologia non era possibile.
Con il passare del tempo la Società ha costruito un business model focalizzato sul cliente, anche in termini di servizio pre e post-vendita. Prima in Italia, e poi in tutto il mondo, la Società ha costruito questa nuova rete capillare di professionisti che fanno provare gratuitamente il forno UNOX direttamente nelle cucine e nei laboratori di pasticceria ai clienti interessati a migliorare i risultati di cottura sui loro prodotti. Nel 2014 vengono presentate nuove gamme che rappresentano la vera svolta nel mercato dei forni combinati: i forni diventano intelligenti e ottimizzano in automatico il programma di cottura in funzione del carico inserito, dei tempi di apertura porta, della temperatura e della durata del preriscaldamento e molti altri parametri che vengono costantemente monitorati prima e durante la cottura. Risultati sempre identici ad ogni infornata.
A partire dal 2016 i prodotti Unox hanno subito la vera trasformazione digitale grazie all’introduzione dell’Intelligenza artificiale applicata ai forni e a un approccio ‘Data Driven’.
Fonte: Spriano Communication
A Sigep la vittoria della squadra tricolore di Tonon, Martinelli, Morrone, Carnio e Chiummo. Sul podio anche il Giappone, medaglia d’argento, e l’Argentina, medaglia di bronzo. Otto prove in tre giorni, dalla monoporzione alla scultura in ghiaccio e la misteri box. La competizione è arrivata alla nona edizione.
L’Italia vince la 9ª Coppa del Mondo di Gelateria 2020. Seguono, sul podio della Gelato Arena a Sigep e A. B. Tech Expo 2020 di Italian Exhibition Group, il Giappone e l’Argentina. La squadra italiana che si è aggiudicata la gara più dolce del mondo, organizzata da Sigep e Gelato&Cultura, ha avuto un riconoscimento unanime, confermato dai voti della giuria della stampa specializzata e dalla giuria artistica. Nella squadra italiana: il gelatiere Eugenio Morrone, il pasticciere Massimo Carnio, lo chef Marco Martinelli e lo scultore del ghiaccio Ciro Chiummo, con Giuseppe Tonon team leader. Per il Giappone, in squadra Naoki Matsuo, Kenichi Matsunaga, Kengo Akabame e Hiromi Nishikawa con Kanjiro Mochizuki team leader. Infine per l’Argentina, in squadra Mariano Zichert, Pablo Nicolas Renes, Matias Dragun e Ruben Darre, con team leader Maximiliano Cesar Maccarrone. Ciascuna delle 11 squadre si è presentata alla competizione con un tema di gara. I vincitori si sono cimentati su “I segreti del bosco”, con la scultura di ghiaccio di Ciro Chiummo che raffigura un cervo che sbuca da un cespuglio e la torta gelato al pistacchio, lampone e fragola e mora su base di croccantino con semifreddo al mascarpone e vaniglia. In sezione, nella fetta, la sagoma del ciclamino e della mora. La torta gelato ha vinto anche il premio speciale della giuria Stampa. Il Giappone si è classificato sul secondo gradino del
podio con il tema “Fiore della musica”, mentre l’Argentina ha scelto i “Pirati dei Caraibi”. Otto prove che hanno impegnato le squadre nei tre giorni di gara: vaschetta di gelato decorata, monoporzione in vetro, mystery box (ingredienti a sorpresa diversi per ciascuna squadra), torta artistica gelato, entrée di alta cucina, scultura in ghiaccio e in croccante, snack di gelato e Gran buffet finale, ovvero la presentazione di tutti gli elaborati. Di sostegno ai campioni, gli studenti dell’Istituto alberghiero Sigismondo Pandolfo Malatesta di Rimini.
Oltre al premio alla miglior torta gelato, gli altri premi speciali sono andati al Giappone per la miglior scultura di ghiaccio; per il gusto più innovativo, l’Argentina ha conquistato il massimo dei voti nella Mistery Box, l’Italia ha vinto il Miglior Gran Buffet Finale, premio assegnato dalla giuria artistica e, infine, Premio Carlo Pozzi, per l’ordine e la pulizia, assegnato dai commissari di gara, al Giappone che meglio ha tenuto la postazione di lavoro.
Tre le giurie: dodici giudici tecnici di gara, coordinati dal presidente Pier Paolo Magni; la giuria media, 10 giornalisti internazionali specializzati in gelateria, pasticceria e F&B e la giuria artistica di tre componenti.
Sigep e A.B.Tech Expo: è a Rimini l’evento chiave per il foodservice dolce internazionale. Oltre 200 mila presenze e 33 mila buyer esteri confermano il successo delle manifestazioni di Italian Exhibition Group. Il peso economico delle fliere rappresentate in fera: Italia leader mondiale nel gelato artigianale
Sei parole chiave per indicare il futuro del foodservice dolce: qualità, italianità, innovazione, expertise, design e passione. Un settore in costante espansione e due manifestazioni che di edizione in edizione crescono per dimensioni e qualità degli espositori e dei visitatori: oltre 200mila presenze di operatori professionali, 33mila buyer provenienti da 187 Paesi,
in testa Spagna, Germania e Francia, ma anche tanti paesi da Asia e Americhe a partire da Cina e Stati Uniti. Sono questi i numeri record di Sigep, il Salone Internazionale di Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè, giunto alla 41esima edizione e di A.B. Tech Expo, 6° Salone delle tecnologie e prodotti per la panificazione, pasticceria e dolciario, che hanno
chiuso i battenti il 22 gennaio.
Le due manifestazioni di Italian Exhibition Group hanno aperto l’anno confermandosi un volano potente per lo sviluppo di un’industria che si nutre di artigianalità e qualità e che rappresenta il meglio della tradizione dolciaria italiana nel mondo.
Sigep e A.B. Tech Expo si consolidano come appuntamento irrinunciabile in cui si definiscono le tendenze del settore. Luogo in cui si incontra il business, l’internazionalità, le competizioni e l’aggiornamento professionale. 1.250 espositori provenienti da oltre 30 paesi che nei 129mila metri quadri del quartiere fieristico riminese concludono affari e colgono importanti visioni sul futuro del comparto.
E per offrire un ulteriore punto di osservazione sul foodservice dolce da quest’anno è nata la Vision Plaza: un luogo, ma anche un think tank, che nei 5 giorni di manifestazione ha ospitato affollatissimi talk nei quali esperti di settore hanno condiviso la loro visione su come cambiano i consumi, quali sono le tendenze dell’Out of Home e quali le innovazioni che segneranno l’anno.
Il salone riminese è stato anche l’occasione per fotografare le filiere protagoniste a Rimini: come si presentano ai nastri di partenza del 2020?
Il gelato artigianale di tradizione italiana piace sempre più, sia dentro che fuori dai nostri confini. Gli italiani si confermano i primi consumatori pro-capite a livello mondiale generando un fatturato, per i locali che servono il dolce freddo artigianale, stimato in quasi 3 miliardi di euro a fine 2018 con una crescita del 4,5% sull’anno precedente, sicuramente aiutata dall’importante aumento delle presenze straniere. La stagione 2019 è stata ulteriormente in crescita grazie alla passione degli italiani per il cibo di qualità e una situazione climatica favorevole.
Sono ormai oltre 100mila le gelaterie artigiane nel mondo, mentre in Italia si contano circa 39mila punti di mescita (dalle rivendite alla gelateria pura, con circa 150mila addetti), di cui 10 mila gelaterie specializzate. Se si considerano le sole gelaterie specializzate, al primo posto troviamo Roma con 1.400 attività. Seguono Napoli (933), Milano (783), Torino (732) e Salerno (529). Nella graduatoria per addetti abbiamo sempre Roma al primo posto con 4.200 lavoratori, seguita da Milano (2.960) e Napoli (2.494). Attualmente in Europa si contano oltre 65.000 punti vendita che impiegano oltre 315.000 addetti. All’estero, Germania, Spagna, Polonia, Giappone, Argentina, Australia e Stati Uniti sono nell’ordine i principali mercati per consumo, mentre per quanto
riguarda il fatturato di vendita abbiamo nell’ordine la Germania con 4,5 miliardi di euro, Spagna (3,1) e Gran Bretagna (2,9).
Oltre che per fatturato e numero di gelaterie, l’Italia è leader mondiale anche nel settore degli ingredienti e dei semilavorati per gelato, in cui, nel 2018, operano 45 imprese che generano un fatturato complessivo di 1,4 miliardi di euro, di cui 650 milioni di semilavorati per gelato. La gamma dei loro prodotti è ampia e va dalle basi, ai concentrati di frutta fresca passando per le paste di semi oleosi (come nocciola o pistacchio) e per le guarnizioni.
Da un’analisi di Unione Italiana Food del 2018 emerge come sia molto forte anche l’impatto della filiera sugli acquisti di prodotti agroalimentari: circa 250 mila tonnellate di latte, 70 mila tonnellate di zuccheri, 23 mila tonnellate di frutta fresca e 32 mila tonnellate di altre materie prime, spesso riguardanti piccole eccellenze agricole italiane. Ad esempio, per produrre il gelato artigianale alla nocciola, tra i gusti più amati dai consumatori, ogni anno le aziende di ingredienti acquistano circa 1.800 tonnellate di nocciole piemontesi sgusciate.
Infine, l’Italia è leader mondiale nel settore della produzione delle macchine e delle vetrine per le gelaterie rappresentate dall’associazione Acomag. Si tratta di un sistema industriale che conta 13 imprese di macchinari che controllano quasi il 90% del mercato mondiale con un fatturato di 229 milioni di euro, a cui si aggiungono 11 aziende di vetrine per un
fatturato di 252 milioni di euro. L’artigianato dolciario italiano da parte sua vale 20 miliardi e 105 milioni di euro. È questo il fatturato 2018 delle 31.652 imprese del settore, la maggior parte delle quali di piccole e medie dimensioni, con meno di 50 addetti ciascuna. Complessivamente il settore occupa oltre 171mila persone suddivise nei comparti della panificazione e pasticceria (con circa 131mila occupati), seguono le cioccolaterie e confetterie con 18mila addetti, i prodotti di pasticceria conservati con 17mila e le gelaterie con circa 4mila addetti.
Nel 2018 l’export di prodotti dolciari ha raggiunto i 4,3 miliardi con un aumento del 2,2% sul 2017. In diminuzione del 2,4%, invece, le importazioni dall’estero.
Nel dettaglio le esportazioni riguardano cacao, cioccolato, caramelle e confetterie (2.026 milioni46,7% del totale) pane e prodotti di pasticceria freschi (1.245 milioni - 28,7%), fette biscottate e biscotti e prodotti di pasticceria conservati con 818 milioni (18,9%) e gelati con 247 milioni (5,7%).
I maggiori consumatori di prodotti di pasticceria freschi
Made in Italy sono i francesi (218 milioni di euro), i tedeschi (191 milioni), gli americani (110 milioni), gli inglesi (94 milioni). In Europa l’Italia è al quinto posto come Paese esportatore di dolci artigianali dietro Germania, Paesi Bassi, Belgio e Francia. Sono 40.408 le imprese attive in Italia nella produzione e commercio di prodotti da forno, un comparto che offre lavoro a circa 162 mila addetti, per un giro d’affari che supera 8,3 miliardi di euro all’anno.
Ammontano a 1,8 miliardi le esportazioni nei primi 6 mesi del 2018, in crescita del +3,4% tra 2017 e 2018. La Francia è il primo mercato (277 milioni di euro di export, +8,0%), seguita da Germania (271 milioni, +4,2%) e Stati Uniti (176 milioni, +5,4%). In testa alla classifica degli esportatori di dolci Milano, Parma, Treviso, Napoli e Bolzano. Quanto strettamente alle ‘pure’ pasticcerie, le stime parlano di circa 4.100 punti vendita. Il resto riguarda strutture che integrano la pasticceria con altre offerte: bar, gelato, pane. Nel 2018 l’industria molitoria italiana ha lavorato per il mercato interno e per l’esportazione complessivamente 7.778.500 tonnellate di frumento (in linea con i valori del 2017) di cui 4.005.000 t di frumento tenero (+ 0,18% rispetto al 2017) e 3.773.500 t. di frumento duro ( +0,36%). Positivo l’andamento delle esportazioni che sono aumentate del 9,82%. Per quanto riguarda l’utilizzazione dei diversi sfarinati si è avuta una lieve crescita di quelli da frumento tenero (0,18%) e una leggera flessione di quelli da grano duro, la cui domanda è calata dello 0,36% a causa essenzialmente della ridotta domanda proveniente dall’Industria pastaria per via della nuova frenata dei consumi sul mercato interno.
Il fatturato dell’industria molitoria italiana nel suo complesso si è attestato nel 2018 a 3,539 miliardi di euro, con un incremento di circa il 2,1% rispetto al 2017: in Italia sono attivi complessivamente 358 molini.
La produzione di pane e sostituti di pane (per esempio cracker, salatini, friselle, grissini, pan carré, pani croccanti, ecc) nel 2018 ha registrato una contrazione dell’1.25% rispetto al 2017. In particolare la flessione
riguarda soprattutto il pane da farine bianche che ha risentito delle nuove tendenze di consumo. Bene, invece, la domanda di pani “speciali”.
La riduzione complessiva del consumo di farine destinate alla panificazione risulta, comunque, parzialmente bilanciata dall’incremento del 3,85% da farine per “sostituti del pane”.
In aumento dell’1,15% la domanda di farina per produzione di pasta fresca e secca e per i prodotti di biscotteria (+2,6%). Bene anche l’andamento della domanda di farine per pizza e prodotti da forno complessivamente aumentata dell’1,62% suddivisa in + 0,82 % per la pizza artigianale, + 4,21 % per i prodotti salati da forno e + 1,34 % per i prodotti surgelati.
Infine, i consumi fuori casa di caffè sono aumentati dell’1,9% rispetto al 2017, con un giro d’affari di 861 milioni di euro e una forte crescita del prodotto in monoporzioni di varie tipologie (cialde, capsule ecc.) la cui domanda è aumentata del 35,7%. Con oltre sei miliardi di espressi in un anno, il caffè consumato al bar genera un volume d'affari di 6,6 miliardi di euro, cappuccino compreso, e un impiego di 47 milioni di chili di miscela.
Mediamente ogni bar vende 175 tazzine di caffè al giorno. Il costo medio di un caffè al bar è di 96 centesimi ed è aumentato del 14% nell’ultimo decennio.
AIBI ha presentato nel corso del recente Sigep i dati dell’indagine Cerved sull’arte bianca, sottolineando l’emergere di nuove modalità di produzione e di consumo. Sicilia e Lombardia sono in cima alla classifca per numero di operatori del pane, seguite da Campania, Puglia, Piemonte, Veneto ed Emilia.
Pane fresco, acquistato giornalmente dal panettiere artigiano, capace di durare per più giorni e a base di materie selezionate. E’ questo il prodotto che gli italiani prediligono, secondo i dati dell’ultima ricerca Cerved sul settore presentata da AIBI, l’Associazione Italiana Bakery Ingredients aderente ad Assitol, e illustrata a Rimini in occasione di Sigep, il Salone Internazionale di Gelateria, Pasticceria, Panificazione
Artigianali e Caffè.
L’indagine sottolinea che l’85% dei consumi degli italiani, anche in tempi di crisi economica, si concentra sul pane fresco artigianale. Rispetto a dieci anni se ne mangia di meno (75-80 grammi pro-capite al giorno) ma si pretendeono gusto e qualità. I consumatori hanno le idee chiare, pur cambiando spesso tipologia di pane e chiedono prodotti con grani antichi, farine
poco raffinate o integrali, con semi, fibre e a basso contenuto glicemico, preparati con lunghe lievitazioni e modalità ecosostenibili. Prevale l’attenzione all’alimentazione sana e alla salute, che si coniuga con l’appeal mediatico del cibo e dei suoi protagonisti e l’influenza delle mode alimentari, mutevoli ma molto seguite.
Lo studio, inoltre, mette in evidenza che è il pane ad alta rilevanza, con ingredienti selezionati, a far crescere la panificazione, sia in volumi che in valore. Oggi costituisce il 35% del fatturato totale della panificazione italiana: grazie alla redditività di queste produzioni, il settore di reggere il calo dei volumi, legato all’invecchiamento della popolazione. Peraltro, il comparto dell’arte bianca ha registrato negli ultimi anni una certa stabilità, con circa 1.5000.000 tonnellate consumate dagli italiani.
“L’italiano vuole un pane di qualità e, per esso, è disposto a spendere di più”, ha osservato Palmino Poli, presidente di Aibi. “Deve essere ricco di gusto ma anche conservarsi bene in dispensa. Al tempo stesso, il consumatore ama cambiare, è attento al prodotto, a come si produce e persino a chi lo produce. Non si tratta di un consumatore ‘facile’, insomma. Ecco
perché la figura del panettiere–artigiano, competente e capace di dialogare con il consumatore, si sta imponendo con forza”.
La conferma arriva anche da Maria Maltese, curatrice della ricerca. “Gli chef sono superstar, ma anche i panificatori sono sempre più trendy. Oggi sono più consapevoli che in passato dell’importanza di dover seguire i gusti del consumatore, e tende a variare la sua offerta”. Per questa ragione, oltre al pane, che rappresenta il 70% della sua produzione, il fornaio 4.0 offre alla sua clientela pizza, focacce, dolci, in modo da accompagnare i vari momenti della giornata con i suoi prodotti. Dalla colazione all’aperitivo, il panettiere c’è sempre.
La stessa panetteria non è più un negozio di passaggio, ma un ritrovo, un luogo da vivere. I vicini di casa si ritrovano lì, i ragazzi la stanno eleggendo a spazio di incontro. Gli artigiani , consapevoli di questo, oltre a diversificare i prodotti, innovano la loro bottega, che oggi non è più un semplice forno, ma si sta trasformando in un bakery cafè, dove il pane viaggia in parallelo con la caffetteria e le proposte gastronomiche. “Se c’è un luogo che si avvantaggia del consumo fuori casa, è proprio la panetteria”, ha
commentato il presidente Poli, “basti pensare che oggi il 15% del pane artigianale si consuma al di fuori delle mura domestiche”. La ricerca Cerved mette in luce come consumatori appassionati si siano rivelati i Millennials, che vanno al bakery bistrot per mangiare, vedersi con gli amici, passare del tempo. La nuova panificazione rivitalizza il mondo dell’arte bianca, che oggi assomma circa 20mila panetterie, favorendo il ricambio generazione. Sicilia e Lombardia sono in cima alla classifica per numero di operatori, seguite da Campania, Puglia, Piemonte, Veneto ed Emilia.
Dal punto di vista del gusto, il pane che piace, secondo i dati Cerved, ha un sapore più deciso e autentico. Soprattutto, deve essere artigianale: non è
più una commodity, ma un alimento importante, da acquistare in modo consapevole. Il panificatore non cerca la competizione con la Grande Distribuzione, ma esalta la sua diversità, organizzando bene i suoi spazi e la produzione e intercettando i gusti del suo pubblico. “Quella cui stiamo assistendo è un’evoluzione profonda”, ha concluso Palmino Poli, “il panettiere comprende che il mondo sta cambiando velocemente, come i gusti del consumatore italiano. Come sempre, in tutti i cambiamenti, vince chi li sa interpretare correttamente. In questa operazione complessa, Aibi ha scelto da tempo di sostenere la categoria nelle sue scelte di qualità e innovazione”.
(Ricetta del Maestro Nico Carlucci)
Farina Tipo 1 kg 2
Lievito di birra fresco compresso g 20
Zucchero g 20
Vino bianco a temperatura ambiente o fredda lt 0,770
Olio extra vergine di oliva g 400
Sale marino fino g 60
Farcitura a proprio piacimento
Olio extra vergine di oliva per spennellare
Procedimento
Iniziare l'impasto, in impastatrice a spirale o in planetaria, inserendo la farina, il lievito e lo zucchero e lasciare ossigenare e miscelare per 2 minuti in 1° velocità o a velocità moderata. Inserire lt 0,7 di vino a piccole dosi fino al completo assorbimento. Aggiungere l’olio a piccole dosi fino al completo assorbimento. Questa operazione dovrebbe durare circa 10 minuti in 1° velocità o a velocità moderata. Innescare la 2° velocità o aumentare la velocità inserendo il sale e gli ultimi 70 grammi di vino rimanenti fino al completo
assorbimento e fino a che il sale si sia ben sciolto nell’impasto. Questa operazione dovrebbe durare circa 6 minuti. Deporre sul banco da lavoro precedentemente infarinato e procedere al 1° riposo sempre per 15 minuti a temperatura ambiente coprendo con telo in plastica possibilmente non a contatto.
Tagliare del peso desiderato, in questo caso - con teglie da 20 cm di diametro - 100 grammi per il fondo e 50 grammi per il «coperchio» e formare (pirlare). Riporre a temperatura ambiente coprendo con telo in plastica alimentare per circa 10 minuti. Con l’ausilio di un mattarello stendere i fondi per la grandezza della teglia compresa di bordi, farcire a proprio piacimento tutti i calzone.
Di seguito, sempre con l’ausilio del mattarello, stendere i ‘coperchi’ e chiudere con un leggero risvolto i nostri calzoni.
Spennellare con olio e con l’ausilio di un bucapasta bucare i nostri calzoni su tutta la superficie compresi i risvolti. Cuocere in forno statico a 240°C per circa 23 minuti con abbondante vapore a valvola chiusa.
(Ricetta del Maestro Nico Carlucci)
Farina di Tritordeum Uniqua Verde kg 2
Lievito di birra fresco compresso g 20
Lievito madre solido di farina di grano tenero g 500
Acqua di mare a uso alimentare Riservadimare
Steralmar lt 1,2
Semi di chia g 100
Colorante alimentare Blue a base di spirulina e mela verde disidratate g 5
Polvere di moringa g 5
Polvere di aronia g 5
Polvere di semi di cardo Mariano g 5
Farina per serigrafare
Procedimento
Immergere i semi di chia nell’acqua di mare almeno 4 ore prima dell’impasto.
Lavorare tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo, circa 7 minuti in 1° velocità e 2 minuti in 2° velocità in impastatrice a spirale o planetaria con gancio. Si può impastare a mano sempre rispettando l’ordine di inserimento riportato in ricetta. Tagliare il pastone in 4 parti e per ogni parte ricavata aggiungere il colorante blu, la polvere di moringa, la polvere di aronia e la polvere di semi di cardo precedentemente disciolti in poca acqua di mare.
Adagiare l’impasto sul tavolo da lavoro o sulla spianatoia in legno e procedere ad una puntatura di 15 minuti coprendo con telo in cotone e telo in plastica.
Tagliare i pezzi contenenti polvere di moringa, polvere di aronia e polvere di cardo in 7 e pirlare perchè andranno a formare i petali del nostro fiore. La parte centrale del nostro fiore sarà ricavato da un pezzo da g 150 di pasta con colorante blue. Con l’aiuto di un rullo da pasticcere per creare le griglie delle crostate formare un pezzo di griglia con un pezzo di pasta di qualsiasi gusto e foderare la parte centrale (azzurra) del fiore. Formare un fiore di g 600 circa (per avere un pezzo finale cotto da g 500 circa) e porlo in teglia 60x40 precedentemente foderata con carta da forno.
Coprire i fiori con telo in cotone e telo in plastica e lasciare lievitare a temperatura ambiente per circa 3 ore o comun-
que fino al raddoppio del volume iniziale.
Con l’ausilio di uno spruzzino vaporizzare acqua sulla superficie superiore del pane e avvalendosi di forme in controstampo, serigrafare ogni fiore con della farina setacciata. Cuocere per circa 40 minuti a 220°C con forno alimentato a gas, statico.
Semola rimacinata di grano duro kg 2
Malto ad alto potere diastatico g 20
Lievito di birra fresco compresso g 40
Acqua fredda lt 1,6
Sale rosa dell’Himalaya g 50
Procedimento
Iniziare l’impasto in impastatrice a spirale inserendo la farina, il lievito di birra e il malto, facendo amalgamare e ossigenare i 3 ingredienti per 2 minuti a velocità moderata. Proseguire inserendo la farina e lt 1,5 di acqua nell’impasto a filo e a piccole dosi e lasciare impastare per 10 minuti circa, fino alla formazione della maglia glutinica ottimale.
Quando l’impasto risulta incordato inserire il sale e lt 0,100 di acqua innescando la seconda velocità o aumentare la velocità per circa 4 minuti, fino al completo assorbimento dell’acqua e fino a che l’impasto risulti liscio elastico ed omogeneo.
Lasciare puntare il nostro pastone sul banco da lavoro, precedentemente infarinato, coperto con telo in plastica per 50 minuti circa.
Dividere l’impasto in pezzi del peso desiderato e dare una pre-forma al nostro pane. Altra puntatura di 15 minuti e dare la forma finale desiderata al nostro pane.
Inserire il nostro pane su teli di infornamento e lasciare lievitare in ambiente coperto con teli in cotone e teli in plastica per un’ora circa.
Infornare a 230°C per circa 40 minuti circa con ultimi 5 minuti a valvola aperta.
Scoprire le virtù misconosciute del lievito e valorizzarle grazie ad una corretta informazione. E’ questo il messaggio lanciato al convegno “Lievito: una bella scoperta”, organizzato a Rimini dal Gruppo Lievito da zuccheri di Assitol, in occasione del Sigep, appena concluso presso Fiera di Rimini.
Il lievito è un microrganismo vivente, che prende vita da un sottoprodotto di origine agricola, il melasso da zucchero. “E’ un processo tutto naturale”, ha spiegato Piero Pasturenzi, presidente del Gruppo Lievito, “che le aziende accompagnano, creando le condizioni più favorevoli perché il lievito si riproduca in presenza di ossigeno. Per questa ragione, nel nostro settore si usa dire che il lievito si coltiva, non si fa”. E se sulla naturalità del lievito non ci sono dubbi, la ricerca scientifica ha evidenziato da tempo le sue proprietà salutistiche, proprio nel contrasto ad una serie di problematiche assai diffuse, ma di cui si dà la colpa al lievito stesso. A sgombrare il campo da mistificazioni e luoghi comuni, ci ha pensato Michele Sculati, medico specialista in Scienza di alimentazione,
professore a contratto all’Università di Milano-Bicocca, citando tutta una serie di recenti studi che dimostrano l’influenza positiva del lievito sulla salute.
“E’ ormai dimostrato che il gonfiore addominale, frequentemente associato alla sindrome dell’intestino irritabile, ha altre origini”, ha sottolineato l’esperto, “rispetto al lievito: alterazioni del microbiota, dieta disordinata, sovrappeso, obesità, stress. Ci si dimentica, purtroppo, che uno dei primi probiotici utilizzati dall’umanità è stato proprio il lievito e come questa sua caratteristica apporti utili benefici al nostro organismo”. Basti pensare che oggi la letteratura scientifica, smontando un luogo comune diffusissimo, raccomandi l’assunzione di lievito per ridurre il dolore addominale nei pazienti che soffrono di sindrome
dell’intestino irritabile.
La stessa sensazione di gonfiore che si prova dopo aver mangiato cibi come la pizza non può essere addebitata al lievito, che muore a 50-60 gradi, quindi ad una temperatura inferiore rispetto a quella utilizzata per cuocere i cibi. In questi casi, il gonfiore può essere causato da un significativo carico glicemico della singola pietanza e dalla quantità di sale. “Il che non significa demonizzare la pizza”, ha avvertito Sculati, “ma soltanto comprendere che è normale sentirsi ‘pieni’ dopo averla mangiata”.
Sculati ha inoltre ricordato come frequentemente le persone credano di essere intolleranti al lievito, ma che questa sia un’evenienza assai rara. “Sul tema si fa una grande confusione”, ha ricordato il medico.
“L’individuazione di un’allergia o di un’intolleranza è possibile soltanto con analisi serie e scientificamente convalidate. I test delle intolleranze di auto-diagnosi, oggi molto in voga, che frequentemente rilevano intolleranze al lievito, si sono dimostrati privi di credibilità scientifica e validità clinica”.
Anche le Linee Guida per una sana alimentazione, da
poco pubblicate dal Crea – Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione, mettono in guardia sulle crociate antilievito e sul mito del “senza”. Il documento del Crea, ha aggiunto Sculati, “invita a seguire un regime alimentare giornaliero variato. Le diete estreme, in cui si cancellano del tutto certi alimenti, sono da evitare, a meno che non si abbiano problemi specifici, perché possono causare danni seri”.
In sintesi, il lievito non soltanto non fa male, ma può fare bene. “Le sue qualità sono troppo poco conosciute”, ha concluso il presidente del Gruppo Lievito di Assitol Pasturenzi, “quando non sono addirittura negate. A nostro avviso, bisogna ripartire dalla corretta informazione, divulgando notizie esatte e veicolandole ai consumatori”. In tal senso, dallo scorso anno, Assitol promuove il sito welovelievito. it, tutto dedicato a questo ingrediente, essenziale non soltanto per il pane ma anche per la produzione di dolci, vino e birra.
Fonte: Assitol
Italmopa nel corso della Conferenza ‘I nuovi trends di consumo del pane in Italia. I drivers che orientano la scelta del consumatore’ che si è svolta nel corso di Ab-Tech a Rimini ha analizzato e illustrato i maggiori elementi che orientano i consumi del pane in Italia.
La Conferenza, introdotta da Cosimo De Sortis (Presidente Italmopa) e Ivano Vacondio (Presidente Federalimentare) è stata moderata da Oscar Giannino e ha ospitato relatori di assoluta rilevanza: Giorgio Agugiaro (Italmopa), Elisabetta Bernardi (biologa e nutrizionista), Giuseppe Ferrandi (Esselunga), Andrea Ghiselli (Crea). Sono stati presentati i risultati di un interessante sondaggio lanciato da Italmopa tramite il portale www.infofarine.it sui nuovi trend di consumo del pane in Italia, attraverso il quale i consumatori hanno potuto esprimere l eproprie preferenze in relazione alle tipologie di pane oferte dal mercato e, al contempo, indicare i fattori che hanno determinato una scelta piuttosto che un’altra.
“La strutturale riduzione del consumo di pane sembra confermata anche per il 2019, seppur in misura più contenuta rispetto al passato” secondo Giorgio Agugiaro. “Tra le varie tipologie di pane emerge, in particolare, un trend positivo per quelle ottenute da farine di frumento integrale o semi-integrale. Per quanto concerne l’evoluzione dei canali distributivi, si assiste, in risposta all’incremento del peso della Gdo, ad una diversifcazione dell’oferta da parte dei panifcatori che investono sempre più nell’immagine dei panifci che diventano luoghi di consumi, di incontro e convivialità”.
“Il consumatore è sempre più attento nelle scelte che opera in tema di alimentazione e oggi i requisiti del pane fresco non sono solo di natura organolettica, ma riconducono anche alla sostenibilità della produzione e alle garanzie di sicurezza della fliera produttiva” ha sottolineato
Giuseppe Ferrandi. “I panifcatori sono pertanto chiamati ad esprimere al meglio la loro capacità di produrre secondo i nuovi trend, afnché il pane fresco possa mantenere un ruolo di primo piano nel soddisfare i bisogni emergenti”. “Cereali e derivati hanno rappresentato una importantissima fonte di energia e di nutrienti nella dieta mediterranea, che traeva dai carboidrati ben più della metà delle calorie necessarie al fabbisogno”, ha ricordato Andrea Ghiselli. “Dagli anni ’50 del secolo scorso ad oggi il loro consumo è notevolmente diminuito per lasciare più spazio ad alimenti meno caratteristici delle abitudini alimentari mediterranee, con un crescente e corrispondente aumento di eccedenza ponderale, che ha messo le basi per una crescente moda ‘carbofobica’, che vede nei carboidrati i principali responsabili dell’aumento di peso, dell’insulino-resistenza e delle patologie collegate. Le Linee Guida per una sana alimentazione, invece, sulla base della dieta mediterranea, raccomandano un maggiore consumo di cereali, soprattutto integrali. Frutta, verdura, cereali integrali e legumi sono infatti i gruppi di alimenti, oltre all’acqua, sui quali puntare maggiormente per un’alimentazione migliore”.
Elisabetta Bernardi, da parte sua, ha evidenziato che “ogni giorno siamo bombardati da informazioni che riguardano i cibi o la dieta, ma
spesso queste notizie sono false o non fondate scientifcamente. Il pane è spesso oggetto di queste fake news, mentre per noi nutrizionisti il pane è alla base della nostra alimentazione e del modello alimentare mediterraneo. Bisogna imparare a guardare alle notizie con senso critico e controllare sempre le fonti. Il pane, bianco o integrale, è un alimento necessario in una dieta equilibrata dato il suo alto contenuto di carboidrati complessi, e l’energia che apportano che è simile per entrambi i tipi di pane. Non è un alimento particolare che ti fa guadagnare o perdere peso, ma l'assunzione di una dieta con un apporto calorico superiore alle esigenze individuali”.
“Il mio sogno per il futuro del pane?”, conclude
Elisabetta Bernardi. “Un ritorno al passato con le tecnologie del presente. Delle panetterie di quartiere dove si possa scegliere le farine più gradite e avere il proprio pane personalizzato il giorno dopo. E con la possibilità di ritrovare i profumi dei forni di una volta, perché non si resiste se si sente il profumo del pane appena sfornato. Non si può non comprarlo…”.
L’industria molitoria nazionale trasforma annualmente 5.400.000 tonnellate di frumento tenero che consentono la produzione di circa 4.000.000 di tonnellate di farina destinate per il 65% alla produzione di pane e sostituti del pane e per il 35% ad altri usi quali biscotteria, produzione di pizza, produzione di prodotti dolciario pasticceria.
Il consumo annuo pro-capite di pane si situa, in Italia, su circa 41 kg, un quantitativo inferiore a quello registrato in tutti gli altri principali Paesi europei (Romania 88 kg, Germania 80 kg, Olanda 57 kg, Polonia 52 kg, Spagna 47 kg, Francia 44 kg, Regno Unito 43 kg).
Secondo il sondaggio Italmopa, l’84% degli Italiani consuma abitualmente pane, mentre il 16% degli intervistati ha dichiarato di non consumare pane o di consumarlo in modo saltuario. Il principale motivo di esclusione del pane dall’alimentazione è di natura dietetica e salutistica.
Tra coloro che consumano abitualmente pane, quello di farina bianca è consumato dal 72%
dei votanti mentre coloro che dichiarano di consumare pane di farine integrali ammontano al 39%, una percentuale, comunque, in costante crescita rispetto al recente passato. Inferiori, ma in ogni caso signifcative, sono le percentuali – rispettivamente del 28% e del 24% - di coloro che consumano anche pane di semole di grano duro o di farine multi-cereali (risposte multichoice).
In prospettiva, e per quanto riguarda alcune tra le tipologie più ‘trendy’ di pane, il 24% degli intervistati ha dichiarato che intende incrementare il proprio consumo di pane ottenuto da farine bio, il 19% da farine di grani antichi e il 18% da farine macinate a pietra. Solo il14%dei consumatori intende invece puntare su un consumo maggiore di pane ottenuto da farine di soli grani nazionali/regionali (risposte multichoice).
Relativamente alle fonti di informazione alle quali attingono i consumatori per orientare le proprie scelte in materia di alimentazione, emerge il ruolo predominante dei canali social, scelto dal 61% degli intervistati, mentre il 33% si afda ai consigli di amici e parenti, il 22% a canali più tradizionali (TV/radio/quotidiani) e l’11% alle dichiarazioni di testimonial e infuencer (risposte multichoice).
Fonte: Uffcio stampa Italmopa
Molini Popolari Riuniti, la grande cooperativa agroalimentare umbra con forte presenza nel settore panifcazione nel 2019 conferma dati e prospettive di una realtà in crescita costante con un fatturato che ha raggiunto i 67,5 milioni di euro circa, tre in più rispetto all’anno precedente.
La cooperativa Molini Popolari Riuniti (Mpr) chiude positivamente il 2019 e si proietta nel 2020 con l’obiettivo di conquistare il traguardo dei 70 milioni di euro di fatturato. Un’annata, quella appena trascorsa, che registra dati positivi in tutte le aree di attività, come evidenziato nel corso della che l’azienda ha
dedicato a ‘Distintività etica e filiera’, incontro di formazione cui hanno partecipato anche i vertici aziendali a partire dal presidente Dino Ricci.
“Il 2019”, ha dichiarato Ricci, “è stato un anno di crescita ulteriore per la cooperativa che prosegue nella sua ‘mission’ di valorizzazione della produzione agricola dei soci, nel rispetto delle persone, dell’ambiente e della salute dei consumatori. Gli obiettivi di budget sono stati nel complesso rispettati. Nel comparto della panificazione c’è stato un incremento molto significativo, oltre un milione di euro di fatturato, e contiamo di attestarci attorno ai 13 milioni nel 2020. Siamo cresciuti soprattutto nel Lazio grazie all’innovazione nel prodotto».
“Per il 2020”, ha continuato il presidente Mpr, “pensiamo di proseguire in un percorso di ulteriore crescita graduale, tra il 3 e il 5 per cento, nei settori strategici della mangimistica, molitoria, panificazione e servizi all’agricoltura”. Ricci ha poi aggiunto che non ci sono in cantiere investimenti significativi al momento, se non un percorso di progressiva ristrutturazione dei centri servizi e di stoccaggio, alcuni molto datati.
Nel settore molitorio Mpr ha visto un incremento importante, più 32 per cento rispetto all’anno precedente con circa 200 mila quintali di macinazione e nel 2020 l’obiettivo è arrivare a 210 mila quintali.
La crescita è in linea con il dato nazionale che vede nell’agroalimentare uno dei settori a maggiore indice di crescita.
Nell’area panificazione Mpr sta portando avanti progetti di filiera con grano 100 per cento italiano e farina di propria produzione, dato che cresce sempre più la domanda di prodotti salutisti, freschi, e di pezzature più piccole rispetto al classico filone di pane da un chilo, che in passato era il più venduto. Allo stesso tempo salgono le vendite di prodotti da forno biologici, pane integrale, ai cereali o alla curcuma. Tra le novità Mpr per il 2020, la pinsa romana, fatta con farine di propria produzione.
La pizza rappresenta il nostro marchio di fabbrica nel mondo. Gli stranieri infatti tendono ad accostare questo piatto all’Italia, una vera e propria specialità che ha consentito al nostro paese di avere una grande riconoscenza a livello gastronomico.
Patrimonio dell’Unesco dal 2017, la pizza viene festeggiata il 17 Gennaio, nel corso della Giornata mondiale della Pizza e il 9 Febbraio negli USA durante il National Pizza Day. Si tratta senz’altro di uno dei piatti più amati quando si va a mangiare al ristorante con un giro di afari annuo stimato in più di 60 miliardi di euro. All’estero la pizza napoletana è la preferita, è uno dei piatti più difusi, seguita dagli spaghetti, dal cappuccino e dal cafè espresso. New York è la città con il più alto numero di pizzerie al mondo, seconda è San Paolo del Brasile. Simbolo di italianità, di cucina semplice ma allo stesso tempo gourmet, di cibo che unisce tutti, la pizza è il piatto tricolore che ha conquistato il palato e il cuore di tutto il mondo. Ma cosa sappiamo veramente della pizza? Sappiamo che occorre una buona lievitazione della pasta e l’utilizzo di prodotti freschi per una preparazione ottimale. La pasta della pizza è fatta solo con acqua, farina, sale, olio e lievito e la ricetta è protetta dalla legislazione italiana ed europea. Base Pizza, nel rispetto della tradizione e del cliente fnale, utilizza ingredienti semplici e del territorio come semola rimacinata di grano duro e olio extra vergine d’oliva e, tratto distintivo, la pizza è stesa a mano dai maestri pizzaioli. Un’attenzione all’artigianalità e al “fatto a mano” che rende la pizza made in Puglia un prodotto fragrante, gustoso e dalle apprezzabili proprietà organolettiche. L’azienda produce migliaia di pizze al mese indirizzate al mercato italiano, ma soprattutto estero con più del 60% di clienti europei e extraeuropei che apprezzano un prodotto genuino e controllato. Ogni regione personalizza la nostra pizza in base alle tradizioni e ai prodotti della propria terra. Così in Trentino Alto Adige troviamo la pizza tirolese con speck, pancetta e cipolla, mentre nelle località di mare abbiamo delle ottime pizze allo scoglio. All’estero la pizza diventa una base neutra su cui abbinare ingredienti spesso insoliti
in maniera ardita: il Belgio adora la pizza con l’ananas, la Francia insaporisce con formaggio di capra e prosciutto, Germania, Austria e Svizzera prediligono le patatine fritte, salame e bacon e nei paesi dell’Est la pizza si fa decisamente sostanziosa con abbondanti quantità di cipolla, peperoni, panna acida, formaggi vari e altro ancora.
“Sua maestà” la Pizza è un prodotto che contiene nutrienti benèfci, è consigliata dai nutrizionisti ed è la regina di uno stile alimentare equilibrato e corretto.
Il famoso prodotto da forno pugliese ha una storia lunga di secoli, come quella di altre specialità della regione, ma in questi ultimi anni si è saputo ridefnire come prodotto perfetto per l’aperitivo o quale snack leggero e croccante, uscendo dal più stretto recinto di accompagnatore dei pasti principali. Le proposte Puglialimentari.
Da dove nasca la parola tarallo non si sa con certezza, ma sappiamo certamente che è nato nell’Italia Meridionale, in particolare il Tarallino Pugliese, quello fatto con olio extravergine di oliva è nato intorno al 1400. Nel corso dei secoli ha avuto una diffusione tale in Italia prima ed adesso anche all’estero da diventare un vero e proprio prodotto tipico, tanto da ricevere recentemente la denominazione Pat, Prodotto Agroalimentare Tradizionale italiano. Per l’etimologia invece dobbiamo risalire al termine latino “torrère", che significa abbrustolire oppure all’italico "tar" che vuol dire avvolgere, ma l’ipotesi più quotata è che derivi dall’etimo greco "daratos" che significa sorta di pane. Un’altra ipotesi sul dove nasca la parola tarallo, dato che è impossibile stabilirlo con certezza, guarda al francese "toral" (essiccatoio).
A prescindere da dove nasca la parola tarallo, sin dal 1400, salato o dolce che sia, non ha modificato la sua caratteristica forma ad anello, e tanto meno i suoi ingredienti: vino bianco, olio evo, farina e sale, che vengono impastati insieme e da questa massa elastica vengono ricavate delle striscioline di circa 8 cm per 1 cm di diametro, che vengono sovrapposte alle estremità in modo tale da saldarle insieme così da ottenere la classica forma ad anello.
Successivamente il tarallo viene dapprima bollito in acqua e subito dopo cotto in forno a più di 200°C per
circa mezz’ora, così da ottenere una buona fragranza al palato ed una bella doratura. L’abbinamento con la birra ha portato il tarallo dentro le nostre case: lo si impiega sempre più spesso come “spuntino”, ma i tarallini pugliesi sono sempre stati piccoli come adesso.
Le loro dimensioni ridotte, associate ad un basso potere calorico, li hanno resi adattissimi come accompagnamento agli aperitivi che sono abbinati comunemente agli snacks: salatini, arachidi, e - appunto - tarallini pugliesi, piccoli, leggeri, e dunque perfetti per lo scopo.
Caratteristica è l’espressione "tarallucci e vino", nome della nostra speciale valigetta composta da I nostri Tarallini
Tradizionali ed una bottiglia di Primitivo, che sta ad indicare una questione che finisce pacificamente ed in semplicità, proprio come semplice è l’abbinamento classico del tarallo pugliese, sposo perfetto del Primitivo di Manduria per l’appunto, del Nero di Troia o del Negramaro.
Grazie alla sua duttilità e al suo gusto unico ormai è possibile trovare taralli di ogni sapore, noi proponiamo circa una 20ina di gusti tra cui: tradizionale, pizza , cipolla, olive, sesamo, peperoncino, pepe, bacon ed anche glassato nella sua versione dolce.
Il solo limite, a tavola, è la fantasia, ma questo non è un problema in Puglia dove la creatività non ci manca, soprattutto a livello gastronomico.
A Napoli, nei locali della storica Brasserie, per trent’anni punto di riferimento dell’entertainment in città, nasce Pizza Social Lab: un nuovo progetto che mette al centro la pizza come occasione di incontro e condivisione (social) e come laboratorio (lab) di sapori, ricette e abbinamenti. #PizzaSocialLab: gusta, osa, condividi.
Pizza Social Lab ovvero riscoprire il piacere di ritrovarsi intorno ad un tavolo per condividere spicchi di pizza e di vita, scoprire nuovi e più inconsueti abbinamenti, vivere un’esperienza di pizza a tutto tondo in un unico locale: dalla più classica e tradizionale a quella più creativa e contemporanea. Questo e tanto altro ancora è Pizza Social Lab che strizza l’occhio al social dining, propone un nuovo format di consumo e rilancia il rito della convivialità. Il logo – ideato dall’agenzia napoletana Wstaff – ben stigmatizza il concept del progetto: nel lettering della parola pizza c'è un chiaro richiamo al classico spicchio, mentre in quello di social lab le due L si
trasformano in virgolette, apici doppi, chiaro rimando allo scambio di conversazioni vis-à-vis intorno ad un tavolo.
Pizza Social Lab è uno spazio di 800 mq che sembra ruotare intorno al banco pizza: un’isola al centro del locale con due enormi forni a legna, tarati a temperature diverse (per garantire una cottura perfetta e modulata in base agli impasti e al topping), friggitrice a vista, doppio bancone in marmo dove si muove una squadra di sei pizzaioli provenienti da scuole ed esperienze diverse. Due linee di produzione per garantire agli ospiti un’esperienza di pizza sharing verticale mai offerta fino ad ora da una pizzeria
napoletana e campana. In brigata tre maestri pizzaioli, tre diverse esperienze in fatto di pizza: Rosario Ferraro che a dispetto della sua giovane età, ventinove anni, ha coltivato un’esperienza decennale in casa Condurro, nell’ “Antica Pizzeria da Michele” prima a Napoli poi a Milano. È lui a capo della linea di produzione della pizza tradizionale di Pizza Social Lab, la pizza a ruota di carretto, verace, fine di pasta. Al timone della linea creativa c’è il maestro pizzaiolo Gennaro Melillo, classe ’83, formatosi alla scuola di Giuseppe Vesi Pizza Gourmet, e specializzato nella realizzazione di una pizza contemporanea, per i palati più curiosi e sofisticati, basata sull’innovazione del topping e sul giusto blend di farine. A coordinare il tutto Antonio Mascia quarant’anni e storico maestro pizzaiolo della Brasserie, icona della storia culinaria di un luogo che ha negli anni cambiato il modo di vivere il pasto fuori casa unendo generazioni e persone. La carta delle pizze propone così tre linee: Le Classiche, Le Creative e Le Ricette della tradizione che portano sul disco tradizionale i grandi classici della cucina napoletana come la pizza al ragù, alla genovese, al soffritto. Un terzo forno in un’area disegnata e realizzata ad hoc, a vista sulla sala, è dedicata all’offerta senza glutine, per rispondere ad una domanda in forte crescita a cui Pizza Social Lab vuole riservare grande cura e attenzione. Fil rouge di tutta l’offerta pizza è la selezione attenta delle materie prime che privilegiano prodotti da filiera corta e controllata, presidi Slow
Food, produzioni Dop e Igp.
Il tavolo social per dodici persone è stato realizzato su misura intorno ad un albero di acero rosso, una pianta bella, forte e resistente come i legami che Pizza Social Lab vuole creare attraverso le tante declinazioni del piatto più semplice e più amato del mondo. A vista sulla sala si apre anche la cucina dedicata alla preparazione dei fritti, dei sughi e degli antipasti. Al gluten free è stata dedicata una zona, separata e asettica, con banco da lavoro e forno. I coperti sono 380 tra esterno e interni. L’arredo è semplice, rassicurante, con tavoli e sedie di legno colorate e alle pareti una serie di insegne che invitano a riscoprire il piacere della convivialità, del mangiare insieme e della condivisione. A vista su strada un’ampia vetrina e banco dedicato sono destinati al servizio take-away. Pizza Social Lab è un progetto di tre imprenditori napoletani provenienti da settori ed esperienze diverse (food entertainment e architettura) uniti dalla passione per la pizza e con l’ambizione di esportarne le molteplici declinazioni anche fuori regione. Pizza Social Lab Napoli nasce dall’esperienza de La Brasserie di Gennaro Manna e negli stessi locali che per trent’anni sono stati protagonisti di un nuovo modo di fare entertainment, ed è il primo tassello di un progetto più ambizioso che già sta guardando oltre i confini regionali e nazionali.
Un omaggio alla nostra penisola e alle sue eccellenze: Perugina Professionale ha aperto le porte della Scuola del Cioccolato Perugina nel cuore dell’Umbria ai suoi pastry-chef, gli Artisti del Dolce, invitati a interpretare il proprio territorio d’origine con una creazione di pasticceria mignon.
Nell’era delle torte spettacolari, accostamenti insoliti e dolci sorprendenti, c’è una categoria che è ancora una rarità nel mondo delle ricette sul web da riprodurre a casa, ancora legata alla forte tradizione del negozio di pasticceria. È la pasticceria mignon che nell’immaginario comune si associa immediatamente al classico vassoio o cabaret che tutti gli italiani acquistano dal proprio pasticcere di fducia in un giorno di festa o in occasione del pranzo domenicale. Perugina Professionale, che vuole celebrare il prestigio della pasticceria italiana con le sue eccellenze
territoriali, ha deciso di dare vita al “Vassoio d’Italia”, un vero e proprio vassoio con i dolci inediti di pasticceria mignon.
Per fare questo Perugina Professionale ha riunito i suoi Artisti del Dolce – circuito nato lo scorso anno con l’obiettivo di sostenere e valorizzare le realtà pasticcere italiane – nel cuore dell’Italia, a Perugia, là dove nasce il suo cioccolato.
Alla Scuola del Cioccolato Perugina, insieme al Maestro Cioccolatiere Alberto Farinelli, i primi 4 dei 50 Artisti del Dolce hanno iniziato a comporre il Vassoio d’Italia.
Dalla Sicilia a Venezia, passando per la Puglia e arrivando a Torino, quattro piccole dolci creazioni inedite di alta pasticceria, piccole nelle dimensioni ma grandi nella qualità, manifattura, creatività ed estrema cura per i dettagli.
Smeraldo Siciliano & Fior di Sicilia, Donvincè, Tartufo Elliè e Dama del Ponte: sono questi i nomi delle creazioni. Ognuno di essi racchiude una caratteristica del proprio territorio d’origine. In ogni dolce c’è tradizione, innovazione e passione. Chi fa il mestiere di pasticcere sa bene quanto la passione sia importante per creare un legame col cliente. I pasticcini colorano le vetrine delle pasticcerie, raccontano delle storie, allietano i momenti di festa, sono piccole opere d’arte con la frma dell’artista.
Perugina Professionale, il marchio italiano di cioccolato dedicato ai professionisti del settore, porta con sé tutta l’expertise dello storico brand Perugina, che ha visto i natali di prodotti unici, come il Fondente Luisa, considerato emblema del cioccolato fondente in Italia. Il Maestro Alberto Farinelli ha guidato il momento della preparazione dei dolci del Vassoio d’Italia condividendo con i pasticceri tutto il sapere sul cioccolato, protagonista delle creazioni, e in particolare il cioccolato dei prodotti Perugina
Professionale come il cioccolato Luisa 55%, il Bitter Fondente Extra 70% o il Gianduia e il Latte Finissimo nei formati corpi cavi e pani e l’inconfondibile Cacao.
Si chiama Umberto Terranova il giovane pasticcere siciliano che ha creato Fior di Sicilia & Smeraldo Siciliano, due diversi piccoli dolci che hanno in comune la sicilianissima pasta di mandorle. Questo ingrediente nasce all’epoca del 1100 a Palermo nel Monastero di Martorana ed oggi è famoso in tutto il mondo. Le paste di Umberto in due varianti, miele e pistacchio, sono interamente ricoperte di cioccolato. La sicilianità di questa creazione è immediatamente evidente dalla pioggia di mandorle e pistacchi di Bronte Dop che la ricopre.
Donvincè è invece la creazione di Ciro
Chiazzolino, pasticcere di Lucera, ed è una rivisitazione di un dolce al cioccolato tipico pugliese detto Castagnola. “È un dolce dettato da uno sguardo al passato e uno al futuro, c’è il nome di mio padre e del mio primo fglio”, spiega
Chiazzolino, “un dolce povero ma nobile negli ingredienti come la mia terra”. È composto da
pan di Spagna al cioccolato, scorzone di arancio dal Gargano, mandorle lucerine tostate e tritate, cioccolato Luisa, liquore di arancio del Gargano e, come nota di grande innovazione, salicornia di Lesina e datterino giallo del Gargano. Infne, mosto cotto di uva della provincia di Foggia. C’è poi Venezia nella Dama del Ponte il pasticcino creato da Andrea Pozzi che si è ispirato alla città da cui proviene ed in particolar modo ai ponti, elementi indispensabili e caratteristici dell’architettura della città. Anche la sua pasticceria conserva questo legame e in particolare col Ponte Pistor, conosciuto da tutti i veneziani come “Ponte delle Paste” poiché dal 1925 ad oggi c’è sempre stata una pasticceria. Il pasticcino è una cake in miniatura a base di farina di mandorle e farina gialla foretto leggermente profumato con rum e vanillina; la
farcitura è una confettura di lampone. Una colata di cioccolato Luisa copre interamente il dolce appoggiato su una base decorativa di cioccolato fondente Luisa e cioccolato bianco. Sopra di essa una decorazione con tante piccole distese di cioccolato bianco a richiamare i ponti della città lagunare. Infne, un ricciolo di ganache a base di cioccolato e panna a rifnire il tutto e palline di zucchero decorative. Infne, c’è la torinese Elena Serra con il suo Tartufo Elliè, in cui protagonista insieme al cioccolato è la nocciola, ingrediente diventato praticamente un simbolo del Piemonte. Tartufo peraltro è il nome che storicamente doveva richiamare il pregiato tubero di Alba e che in questa creazione porta la frma della “cioccolatessa” di Torino, appunto “Elliè”, il nome della sua pasticceria.
Il cioccolato è il regalo per eccellenza scelto dagli innamorati per San Valentino. Ma quali sono i motivi storici e scientifci legati al suo successo quale cibo che accende l’amore? La scienza ha trovato alcune risposte sull’origine di presunti efetti afrodisiaci del cioccolato.
Oggi il cacao è riconosciuto come un superfood che apporta preziosi nutrienti, in particolare benefci per il sistema cardiovascolare. In passato però il cacao era ritenuto un potente afrodisiaco ed è questa una delle ragioni per cui il cioccolato è il regalo dell’amore per antonomasia. La leggenda comincia nel 1500 in Messico dove l’imperatore azteco Montezuma per avere più vigore nel suo harem, beveva 50 tazze al giorno di xocoatl, l’antenata della cioccolata. La reputazione afrodisiaca del cacao si difuse poi in Europa grazie all’uso euforizzante della bevanda durante le feste alla corte del Re Sole. E in Italia? Il grande seduttore Giacomo Casanova usava la cioccolata per disinibire le sue amanti e regalare istanti paradisiaci di piacere. Persino il vate Gabriele D’Annunzio, rinomato amatore, consumava cioccolato per i suoi poteri afrodisiaci prima dei suoi incontri amorosi. Il cacao secondo gli studiosi promuove la “brain chemistry” dell’amore. Per cominciare va dritto al cuore del piacere sessuale aumentando i livelli di serotonina, l’ormone del buon umore, che promuove l’eccitamento sessuale e il desiderio. Poi grazie alla feniletilamina stimola la produzione di endorfne, responsabili dello stato di euforia che si prova durante l’orgasmo o un’intensa attività fsica. La feniletilamina inoltre potenzia l’attività della dopamina, legata all’eccitamento sessuale e alla gratifcazione. Infne il cacao è l’unico alimento in natura che contiene l’anandamide, la molecola della beatitudine, una sostanza prodotta anche dalle nostre cellule cerebrali che agisce sui meccanismi della soddisfazione e del piacere. Il cioccolato quindi è fonte di piacere non solo
per il nostro palato, ma anche per la nostra mente. Ma quanto possiamo mangiarne? A causa dell’alto contenuto calorico, la scienza consiglia di limitarne il consumo a solo 6 grammi al giorno, circa un quadratino di cioccolato rigorosamente fondente. Per gli amanti del cioccolato oggi però c’è una buona notizia, la startup italiana Live Better ha ideato un modo smart per poterne consumare di più: Chokkino, il primo e unico espresso di puro cacao, da gustare al bar oppure tra le mura domestiche. Chokkino è come un cafè, ma 100% cacao. Visto che una tazzina contiene solo 19 calorie, questa ingegnosa startup italiana ha trovato il modo di far consumare cacao senza più sensi di colpa. Insomma, spiega Chris Kilham, il grande ricercatore di piante medicinali defnito dalla CNN ‘l’Indiana Jones della medicina naturale’, “in natura ci sono molte sostanze che aumentano la libido e la funzione sessuale, ma solo il cacao promuove la chimica mentale dell’essere innamorati”.
Chocolate Academy Milano del gruppo Barry Callebaut annuncia il lancio in Italia della nuova tecnologia Mona Lisa 3D Studio. L’innovativa tecnologia consente di progettare creazioni di cioccolato inedite e su misura. Il pasticcere di fama mondiale Jordi Roca ha collaborato con Mona Lisa 3D Studio per creare un pezzo esclusivo, “Flor de Cacao”.
Chocolate Academy Milano del gruppo Barry Callebaut, leader mondiale nella produzione di cioccolato e prodotti a base di cacao di alta qualità, ha annunciato il lancio del primo cioccolato personalizzato al mondo stampato in 3D su larga scala, tramite uno dei brand globali di decorazioni Mona Lisa. Mona Lisa è il primo brand a lanciare creazioni di cioccolato personalizzate stampate in 3D su larga scala, realizzate con cioccolato belga. Questa novità rivoluziona il mondo dell’artigianato del cioccolato, in quanto combina la tecnologia produttiva, il design su misura e il know-how di Barry Callebaut nel campo del cioccolato - consentendo agli chef di realizzare creazioni uniche e di riprodurle in modo rapido ed economico, indipendentemente dalla complessità o dalla specifcità del design. Grazie a Mona Lisa 3D Studio, gli chef
avranno a disposizione una serie di nuovi e innovativi strumenti creativi. Per l’evento lancio, Mona Lisa ha collaborato con Jordi Roca, uno dei pasticceri più creativi del mondo, consentendogli di dare libero sfogo alla propria creatività con un pezzo esclusivo in 3D realizzato in cioccolato. La sua ultima creazione, “Flor de Cacao”, rappresenta una fava di cacao che, a contatto con la salsa di cioccolato calda, si apre come un fore di cacao.
“Questo nuovo modo di lavorare con il cioccolato sorprenderà i consumatori, poiché permette di realizzare forme in precedenza inimmaginabili e di produrle su larga scala con una precisione impressionante”, spiega Jordi Roca. “Di solito traggo ispirazione da ciò che non posso fare, perché rappresenta una sfda creativa; ma ora Mona Lisa 3D Studio mi consente di portare la mia capacità di lavorare con il cioccolato a un livello superiore. Posso immaginare qualsiasi nuovo tipo di design e vederlo prendere vita”. Mona Lisa 3D Studio si avvale di un’innovativa tecnologia di precisione in grado di stampare migliaia di pezzi alla volta, mantenendo al contempo un aspetto completamente artigianale. Chef e clienti possono personalizzare una decorazione in cioccolato con le proprie preferenze in termini di design, forme e dimensioni, prima che un team di designer trasformi il prodotto in un prototipo digitale 3D con relativi campioni fsici. Una volta approvato il prototipo, il prodotto fnale è rapidamente riproducibile su vasta scala.
Promosso da associazioni sociali, imprese e professionisti del settore - Rotary Internazionale, Fabbri 1905, il Maestro Gino Fabbri, la Fondazione Bruto e Poerio Carpigiani - in collaborazione con Agape onlus, il progetto ha l'obiettivo di formare e dare lavoro a giovani disoccupati, donne in difcoltà, ragazzi con disabilità in Italia e nel mondo.
Il progetto emblema degli obiettivi di una collaborazione virtuosa che si estende in tutti i livelli della società è “Cremedoce De Fronteira”, gelateria con annesso training center a Ressano Garcia, piccola città del Mozambico al confine con il Sudafrica.
Inaugurata a luglio 2019 da Gino Fabbri, Maestro Pasticcere e Presidente AMPI, è oggi un esempio di gelateria di successo affidata alle cure di quelli che, da orfani di guerra, oggi sono a tutti gli effetti provetti maestri gelatieri grazie alla formazione ricevuta in Italia, e continuata poi in loco, da Gino Fabbri stesso, dalla Carpigiani Gelato University e dalla Fabbri Master Class.
A portare la testimonianza diretta di questa esperienza al Sigep 2020 uno dei protagonisti: Josè Maria Chicuarimba, responsabile tecnico di Cremedoce de Fronteira, che grazie alla gelateria riesce a mantenersi anche agli studi universitari di Ingegneria.
Con lui, sempre dal Mozambico, Tibor Demes, Area Manager Africa di Fabbri 1905, a cui è stata affidata la formazione continua sul posto per un anno dalla partenza del progetto. Così oggi, oltre al punto vendita, è operativo il training center, un laboratorio in cui accanto alle attività di preparazione giornaliera si
effettuano anche corsi per avviare al lavoro alcuni ospiti del Centro Joao Batista Scalabrini che si occupa da anni di progetti di formazione rivolti a giovani donne madri e orfani.
“Oggi possiamo dire che i giovani mozambicani sono in grado di preparare un ottimo gelato”, afferma Nicola Fabbri, AD Fabbri 1905, “ma la strada da percorrere è ancora lunga e complessa perché quanto è stato fatto va consolidato dando a questi giovani anche competenze di tipo commerciale e di marketing perché queste microimprese diventino solidi punti di riferimento e riscatto sociale ed economico per sempre più giovani africani di buona volontà. Continueremo quindi a dare tutto il nostro supporto. Un grazie particolare ad Agape Onlus che da anni combatte in Mozambico per questo”.
Gino Fabbri ha voluto fare un “Appello solidale” ai pasticceri perché sostengano pro bono le gelaterie solidali con la loro attività ed esperienza e ha annunciato che metterà a disposizione del progetto e di chi lo sosterrà “Le ricette dolci e solidali di Gino & Friends” dove i Friends sono appunto Carpigiani Gelato University e Fabbri Master Class.
(Ricetta del Maestro Nico Carlucci)
Farina Tipo 1 kg 1
Cioccolato a rondelle o gocce g 500
Mandorle tostate g 500
Caffè solubile g 10
Cacao dolce g 250
Cannella in polvere g 1
Scorza di limone grattugiata (1 limone) g 16
Scorza di arance grattugiata (1 arancia) g 23
Zucchero di canna grezzo g 100
Vanillina in polvere g 0,5
Olio extra vergine di oliva g 100
Vin cotto di fichi kg 1
Ammoniaca (1 bustina) g 20
Decorazioni in zucchero resistenti al calore
Procedimento
Grattugiare la scorza di 1 limoni e la scorza di 1 arance; tostare le mandorle in forno; Iniziare l’impasto in planetaria con gancio inserendo farina, cioccolato, mandorle intere, caffè solubile, cacao, cannella, scorza di limone e di arancia, zucchero e vanillina; far mescolare in planetaria per 2 minuti a bassa velocità per ossigenare ed amalgamare gli ingredienti.
Proseguire aggiungendo l’olio e g 900 di vin cotto facendo amalgamare il nostro impasto. Infine inserire l’ammoniaca e i restanti g 100 di vin cotto e lasciare impastare fino a che l’impasto risulti omogeneo e compatto. Tutta questa procedura dovrebbe durare circa 11 minuti in 1° velocità o a velocità moderata.
Con l’ausilio di un cucchiaio da cucina formare dei dischi dimensioni e peso più o meno uguali nelle teglie 60x40 precedentemente foderate con carta da forno, 24 dischi circa per ogni teglia.
Cuocere a 220°C per circa 7 minuti, naturalmente la cottura ottimale dipende dalla grandezza e dal peso dei mustaccioli.
(Ricetta del Maestro Nico Carlucci)
Procedimento
Rompere 2 uova in un boccale e riporre in frigorifero. Iniziare l’impasto in planetaria con frusta millefili a palla inserendo uova, zucchero e olio, lasciando miscelare per qualche minuto a velocità moderata. Aggiungere il bicarbonato d’ammonio e la vanillina e continuare a miscelare.
Infine inserire la farina e a piccole dosi il latte e lasciare impastare fino ad avere un impasto liscio e omogeneo. Appena pronto l’impasto, con l’aiuto di una spatola in plastica versare il tutto in una sacca da pasticcere e formare dei biscotti della forma e peso desiderati nelle teglie precedentemente foderate con carta da forno. Spennellare con un pennello in silicone con l’uovo i biscotti e decorali a proprio piacimento.
Cuocere a 225°C per dieci minuti circa.
6 Uova intere g 310
Zucchero di canna grezzo g 300
Olio extra vergine di oliva g 200
Bicarbonato d’ammonio (una bustina) g 20
Vanillina pura (una bustina) g 5
Farina Tipo 2 solita a pietra kg 1
Latte intero g 250
2 Uova intere
Zucchero di canna, fruttosi, codette in zucchero termoresistenti o zucchero a velo
La pasta è uno dei simboli del Made in Italy e merita di essere celebrata degnamente: l’evento Pasta EXcellence 2020 – in programma a Roma nei giorni dal 28 al 30 marzo 2020 – vede impegnati nei laboratori del centro di alta formazione Coquis by Excellence ben 40 chef italiani che metteranno a fattore comune il loro saper fare e la loro expertise.
Pietro Ciccotti, l’ideatore della manifestazione Pasta EXcellence 2020 commenta che “abbiamo voluto fortemente questo evento, siamo convinti che a Roma non possa mancare un appuntamento dedicato ad un alimento che è alla base della cultura gastronomica italiana”. La manifestazione è aperta al pubblico e al contempo un punto fermo per i professionisti del settore e per gli espositori, attentamente selezionati. Nel corso dell’evento, verranno assegnati i premi Pasta Excellence ai migliori primi piatti proposti dai ristoranti romani.
Chef e produttori sono stregati da questo alimento versatile e intimamente connesso alla memoria ed ai ricordi d’infanzia, in cui una scodella fumante colma di pasta era capace di trasformare qualsiasi pasto in una festa. Esemplare la testimonianza di Mauro Secondi, del Pastificio Secondi: “La festa, i profumi, i ricordi, le tovaglie stese, i territori, i contadini, l’aia, la coltura e la cultura. Tutto questo per me è la pasta”
Arcangelo Dandini, chef del ristorante L’Arcangelo, racconta un episodio legato alla prima infanzia che svela la sua passione fin da piccolo: “Mia madre mi raccontava (…) che quando ero in carrozzina e mi portavano al ristorante, nel tragitto tra cucina e sala mio padre e i camerieri mi davano da mangiare la
pasta preparata per clienti ed io ero felice. La pasta rappresenta l’amore delle persone che erano lì con me”.
Davide Del Duca, lo chef dell’Osteria Fernanda, pensa che “la pasta è un alimento versatile, soprattutto quella secca per me rappresenta l’italianità e non può mancare nel menu di uno chef creativo”, mentre Giuseppe Di Iorio, chef di Aroma Restaurant (1 stella Michelin), afferma che “la pasta è nel nostro Dna, e questa forte identificazione la trasmettiamo anche all’estero. È stato il profumo della pasta preparata da mia madre che mi ha portato ad amare questo lavoro” . Il bello della pasta è che non è mai uguale, assume forme e consistenze diverse anche se gli ingredienti alla base sono di una semplicità senza pari: acqua, farina, talvolta uova. Non c’è ricettario italiano che non dedichi un ampio capitolo ai piatti a base di pasta. E, poi, la pasta è democratica, si presta ad unirsi a condimenti semplici oppure elaborati, ha la capacità di esaltare gli ingredienti – anche i più umili – a cui viene associata. Per lo chef Gigi Nastri “gli eventi sulla pasta sono fondamentali per far capire il lavoro che c’è dietro e per trasmettere il vero significato che questo alimento ha per noi”.
Pasta Armando, brand di eccellenza della pasta italiana, prodotta con grano di fliera 100% italiano, torna in comunicazione nazionale con una campagna multimedia di grande copertura. La campagna si articola in diversi formati e su diversi mezzi, toccando la tv, la stampa nazionale l’OOH e il digital.
L’unicità della filiera Armando, che coinvolge oggi oltre 1.500 agricoltori italiani, la sostenibilità economica e sociale, la sicurezza alimentare, sono tutti aspetti che distinguono il brand campano nel panorama della pasta secca in Italia. Un posizionamento raccontato in un vero e proprio “brand manifesto” che sarà al centro della campagna stampa e affissioni.
“Pasta Armando è il fiore all’occhiello di De Matteis Agroalimentare, un progetto visionario nato da un’idea imprenditoriale precisa, legata alla relazione tra Uomo e Terra, e ai frutti del lavoro di una Comunità di persone che si prende cura giorno per giorno del grano che diventa Pasta Armando”, dichiara Fabrizio Nucifora, direttore Marketing e Trade Marketing De Matteis Agroalimentare. “Con questa campagna vogliamo raccontarlo al grande pubblico, comunicando il posizionamento distintivo di Pasta Armando.”
La campagna segna un ritorno alla comunicazione televisiva da parte di Pasta Armando e prevede
uno spot da 15”, il cui protagonista è lo Chef Alessandro Borghese, brand ambassador da oltre 3 anni. Chef Alessandro Borghese, nel filmato, pone l’attenzione sul profumo di Pasta Armando, che scaturisce dall’utilizzo nella sua produzione di solo grano 100% Italiano. Lo spot sarà presente anche all’interno di alcune trasmissioni di cucina di rilievo.
La campagna di affissioni a febbraio si è concentrata a Milano, dove Pasta Armando ha avuto la domination di Stazione Garibaldi. Qui, nei principali punti di passaggio, frequentati ogni mese da oltre 2 milioni di passeggeri, viene illustrata in modo dettagliato la filiera di Armando, un patto diretto tra l’Azienda e oltre 1.500 agricoltori volto alla ricerca dell’eccellenza, al rispetto dei principi della sostenibilità territoriale ed economica, e della sicurezza alimentare.
Due maxi schermi esterni ospitano la pianificazione dei filmati con protagonista Chef Alessandro Borghese, impegnato a cucinare Pasta Armando. Due i soggetti che si alternano: un filmato diurno e uno notturno, un approccio nuovo, di grande impatto visivo.
La comunicazione stampa, pianificata su quotidiani a diffusione nazionale e testate di settore, ha al centro il “manifesto” di Pasta Armando, la carta di identità del brand e dei suoi impegni dichiarati: dalla ricerca dell’eccellenza al rispetto dell’ambiente, dalla sua filiera unica dal 2010, alla certificazione di metodo zero residui di pesticidi e glifosato.
Buone notizie per uno dei prodotti tipici del made in Italy, rinomato in tutto il mondo anche grazie a quella proveniente dalla Puglia. Nei primi 9 mesi del 2019 è aumentato l'export di pasta dalla Puglia del 9,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, dato che testimonia il grande successo della produzione 'made in Puglia' all'estero.
I dati provenienti da elaborazioni Istat/Coeweb sul commercio estero di pasta, sono stati diffusi da Coldiretti Puglia in occasione della consacrazione della dieta mediterranea come migliore dieta al mondo del 2020 davanti alla dash e alla flexariana, sulla base del Best diets ranking 2020 elaborato da U.S. News & World's Report's, noto a livello globale per le classifiche e i consigli per i consumatori.
"La pasta è il prodotto simbolo della dieta mediterranea, di cui va salvaguardata qualità e italianità attraverso l'indicazione in etichetta dell'origine 100% Made in Italy del grano duro utilizzato. La recente multa salata dell'Antitrust ad una catena della grande distribuzione straniera per aver diffuso informazioni fuorvianti sull'origine del grano duro nella pasta venduta sugli scaffali è la testimonianza di quanto il Made in Italy abbia un immenso valore, da tutelare quotidianamente anche contro l'Italian Sounding", denuncia Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia.
"Le migliori varietà di grano duro selezionate dalla Società Italiana Sementi (SIS) dei Consorzi Agrari d'Italia, da Emilio Lepido a Furio Camillo, da Marco Aurelio a Massimo Meridio fino al Panoramix e al grano Maiorca, sono coltivate dagli agricoltori sul territorio pugliese che produce più di 1/4 di tutto il frumento duro italiano", spiega Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia. "Negli Usa quest'anno il Made in Italy”, insiste Muraglia, “è cresciuto fino ad ora più del doppio rispetto al mercato mondiale dove l'incremento è stato del 3,4%. Bisogna scongiurare la nuova black list Trump che minaccia di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy. Un pacco di pasta in Italia costa 1,5 euro al chilo, negli Usa sale a 2,75 euro al chilo che, con l'applicazione dei dazi al
100% passerebbe a 3,75 euro al chilo. Ora sulla pasta le tariffe sono in media di 6 centesimi al chilo, le ripercussioni per il settore in Puglia sarebbero molto pesanti", incalza Muraglia. Pasta fatta con grano 100% made in Puglia, con il grano 'Cappelli', fino ad arrivare alle modaiole alternative a base di farina di legumi, di ceci, di lenticchie e di piselli, tradizione e innovazione – dice Coldiretti - contraddistinguono la Puglia, il Granaio d'Italia, principale produttore italiano di grano duro con 346.500 ettari coltivati, 9.990.000 quintali di prodotto.
Fonte: Coldiretti
L’azienda della famiglia Mastromauro rinnova per due anni l’accordo di sponsorizzazione con una delle giocatrici di calcio più famose in Italia e nel mondo: la piemontese (è originaria di Pinerolo) Barbara Bonansea. Una partnership, dice l’atleta, all’insegna delle buone abitudini alimentari.
Granoro, tra le più importanti realtà produttive alimentari italiane – presente con la pasta secca di semola di grano duro, i pomodori, l’olio evo in 180 nazioni - ha rinnovato l’accordo di collaborazione con la calciatrice torinese (classe 1991) Barbara Bonansea, una delle atlete italiane di maggior spicco nell’ambito del calcio femminile a livello internazionale, per il biennio 2020-2021. L’azienda della famiglia Mastromauro intensifica così la propria presenza nel mondo del calcio con il legame con la Acf Fiorentina Women’s Fc (serie A femminile) e la SSC Bari. Attraverso una testimonial così di spicco ed esempio di fair play come Barbara Bonansea, Granoro sottolinea alcuni dei concetti cari all’azienda, come il benessere a tavola, la cultura del mangiar sano, il legame col territorio, la valorizzazione delle produzioni
BB11 – così soprannominata dai tifosi – sarà protagonista di tante attività che le permetteranno di interagire con i suoi fans e i consumatori
Granoro attraverso campagne social, eventi e momenti di diffusione e promozione della Linea “Granoro Benessere”, pensata per chi preferisce cibi biologici e integrali, ricchi di fibre o i senza glutine.
“Con Barbara si è subito creato un bel feeling”, ha affermato Marina Mastromauro, Ad di Granoro, “e una simbiosi nelle idee e nei principi che sono alla base della nostra collaborazione. I recenti emendamenti approvati subito dopo l’exploit delle nostre azzurre ai mondiali di calcio femminile sono il segnale che lo sport femminile sta riscuotendo sempre più successo e importanza. Lo abbiamo sostenuto in tempi non sospetti e pertanto riteniamo di proseguire con entusiasmo questo percorso con atlete come Barbara, che daranno valore aggiunto a quanto ogni giorno produciamo con passione”.
Tra le novità previste per la rinnovata partnership, ci saranno anche dei momenti prettamente gastronomici nei quali l’atleta si diletterà in cucina con i prodotti Granoro.
“La pasta fa parte della mia alimentazione sin da quando ero piccola ed ho iniziato a giocare a calcio”, racconta Barbara. “Crescendo, ho capito quanto è importante mangiare sano, sia perché ho scelto di praticare sport, sia per il mio benessere. Sono molto contenta della fiducia che Granoro ha riposto in me, ed insieme condivideremo un principio importante: le buone abitudini alimentari sono fondamentali per una vita sana ed attiva, per la nostra salute”.
Una mini lamentela domestica diventa virale e arriva a scomodare addirittura gli esperti dell’Icc, una delle maggiori scuole di cucina del mondo. E alla domanda “è corretto immergere la pasta nell’acqua prima dell’ebollizione?” La risposta è no, ma volendo è possibile.
Un ragazzo americano esprime via Twitter il proprio disappunto nei confronti della fidanzata, ‘accusata’ di ritenere corretto ed efficace cuocere la pasta immergendola nell’acqua fredda, prima di accendere il fornello per portarla a ebollizione. Questo ‘metodo dell'acqua fredda’ ha scosso il mondo degli amanti della pasta e i tradizionalisti, accendendo un dibattito che è diventato virale. Il giornale on line HuffPost ha provato a fare chiarezza, intervistando esperti del mondo culinario e scienziati. Le risposte sono state diverse, anche se alla fine appare chiaro che per una volta almeno la tradizione andrebbe rispettata, se si vuole ricompensare il proprio palato con tutto il gusto della pasta ‘Italian style’. Gli chef dell'International Culinary Center (ICC) di New York, sono d'accordo sul fatto che è possibile cuocere la pasta in acqua
fredda, ma si sono chiesti il perché qualcuno dovrebbe preferirlo alla tradizionale cottura in acqua bollente. Gli esperti sono giunti alla conclusione che, per chi prepara la pasta a casa, questo potrebbe essere un ottimo metodo, mentre cucinarla in acqua fredda nella cucina di un ristorante richiederebbe più tempo e più attenzione rispetto alla cottura in acqua bollente. Inoltre, ritengono che cuocere la pasta – specialmente quella fresca – in acqua bollente preservi meglio il sapore della pasta. In generale, gli chef dell'ICC si sono trovati concordi sul fatto che il metodo ad acqua fredda andrebbe bene solo per la pasta secca, come le penne e non per paste lunghe come le fettuccine.
Intervistato sul tema, Claudi Mans, Professore emerito di Ingegneria chimica all'Università di Barcellona e autore di “The Science of Cooking: A Quick Immersion", ha spiegato a HuffPost che "quando la pasta secca viene messa in acqua, questa penetra all’interno dei suoi pori. L'acqua calda si infiltra nei pori più velocemente di quella fredda, perché ha meno viscosità e meno tensione superficiale". Mans argomenta a favore del tradizionale metodo di cottura: "l'acqua può separare le molecole di amilosio e amilopectina dall'amido di farina, gonfiandone i grani. La cottura della pasta provoca l'idrolisi di queste molecole, che deve essere immersa ad una temperatura superiore a 80 gradi C".
Mans spiega di preparare la pasta nel modo classico, metodo preferito da tutti i fornitori che conosce, ma dopo il recente parere a favore del ‘metodo a freddo’ dello ’starchef’ Alton Brown conclude: “Testerò personalmente entrambi i metodi di cottura, la prossima volta che cucino i maccheroni".
Ieg: per Beer&Food Attraction e BBTech Expo oltre 33.000 presenze e partecipazioni dall’estero da 70 paesi. Una kermesse unica in Italia, che ha saputo crescere sul fronte internazionale e riunire tutta la fliera del beverage dedicata al fuori casa, mantenendo la promessa di inserire il food quale componente del successo.
Superate le 33.000 presenze e partecipazioni dall’estero da 70 paesi, oltre 1.300 buyers (+ 30% sul 2019): con questi risultati vanno in archivio Beer&Food Attraction e BBTech Expo 2020, le manifestazioni di Italian Exhibition Group dedicate alle esperienze dell’out of home. Estremamente positiva e in crescita l’attività internazionale: oltre 1.300 buyers, (+ 30% sul 2019) da 70 Paesi stranieri hanno visitato la manifestazione. Cento di questi, grazie alla collaborazione con Agenzia Ice, hanno partecipato ad un programma speciale di accoglienza, ospitalità e incontri di business con le aziende. Gran Bretagna, Spagna, Svizzera e Germania risultano essere i principali Paesi di provenienza.
BBTech Expo si è confermata la più esauriente offerta di tecnologie e attrezzature per la produzione e il confezionamento di bevande. Stand affollati nelle giornate e grande soddisfazione di business grazie a questa formula, unica in Italia, di intra business tra produttori di bevande e di macchinari.
A favorire lo sviluppo del business, fondamentale è stata la riconferma delle collaborazioni strategiche intrattenute, a vario titolo, con Unionbirrai, Italgrob Federazione Italiana Distributori Horeca, Fic Federazione Italiana Cuochi, Fipe Federazione Italiana Pubblici Esercizi, Cast Alimenti, Assobirra e Mineracqua. Un gioco di squadra apprezzato dagli operatori, che hanno accolto con pieno favore la riproposizione dell’International Horeca Meeting, organizzato da Italgrob, il concorso Birra dell’Anno di Unionbirrai e i Campionati della Cucina Italiana, la più importante e completa competizione italiana per tutte le categorie della cucina, organizzata dalla Federazione Italiana Cuochi.
Cresciuti anche i momenti di incontro, grazie agli eventi organizzati nelle varie arene e nei laboratori dedicati a workshop, approfondimenti e meeting di formazione e aggiornamento. Sugli scudi il Pizza Experience e il Mixology Lab. Dunque, Beer&Food Attraction e BBTech Expo confermano il loro format unico, un appuntamento b2b dove le eccellenze birrarie e il top del beverage (acque, soft drinks, spirits) incontrano il food di qualità per il canale horeca e le tecnologie più avanzate, che esalta il business di chi sceglie birre e bevande quale binomio propulsore di nuovi format di locali, aperti a nuove occasioni di consumo.
Fonte: Ufficio stampa Beer&Food Attraction
L'Italia esce indenne dalla revisione della lista dei prodotti soggetti a dazi americani. Dal confronto tra i codici doganali riportati dall'ufcio del rappresentante Usa per il commercio (Ustr), nelle due liste emanate a ottobre e febbraio non risultano colpiti prodotti italiani.
E' stato scongiurato fortunatamente per il ‘made in Italy’ il rischio che la revisione dei dazi americani conclusa a febbraio potesse estendersi ad altri importanti settori del nostro export sul mercato Usa. Gli Usa hanno deciso di non alzare i dazi al 25% imposti lo scorso ottobre a vari prodotti europei (compreso il Parmigiano) e hanno fatto solo lievi modifiche alla lista, rimuovendo ad esempio il succo di prugna ma aggiungendo i coltelli da cucina importati da Francia e Germania. L'ufficio per il commercio Usa si riserva comunque di cambiare le merci colpite dalla tariffe. "Il lavoro fatto in questi mesi ha dato i suoi frutti. L'agroalimentare italiano non compare nella lista dell'Ustr americana appena pubblicata dei prodotti soggetti a dazi. Abbiamo scongiurato il rischio che le nostre eccellenze subissero danni irreparabili". Così, in una nota, commenta la ministra delle politiche agricole, alimentari e forestali, Teresa Bellanova. "L'Italia oggi esce indenne dalla revisione della lista dei prodotti soggetti a dazi che gli Usa avevano emanato lo scorso ottobre. Sono stati colpiti altri Paesi, ma non il nostro”, aggiunge in una nota il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sottolineando che "sono salvi i vini, l'olio d'oliva e gli altri prodotti italiani che rischiavano dazi fino al 100%. Così difendiamo il Made in Italy, così difendiamo i prodotti della nostra terra, orgoglio della nazione". Sospiro di sollievo anche dal mondo produttivo. ”Il Consorzio del Parmigiano Reggiano accoglie con entusiasmo la notizia che gli Usa hanno deciso di non alzare i dazi al 25% imposti lo scorso ottobre a vari prodotti europei.
Abbiamo lavorato nella direzione giusta, facendo squadra con le altre Indicazioni Geografiche, credendo fermamente che la Commissione Europea fosse l'unico tavolo al quale portare avanti la negoziazione, evitando di disperdere energie portando avanti diversi interessi da parte delle singole classi di rappresentanza”, dice Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. ”La notizia più bella che potesse arrivare alla vigilia della nostra anteprima Chianti Lovers. Possiamo tirare un sospiro di sollievo dopo mesi di apprensione. Siamo grati al governo americano e alle nostre istituzioni per il gioco di squadra che ha permesso di escludere l'Italia dai Paesi colpiti dai dazi”, aggiunge Giovanni Busi, presidente Consorzio Vino Chianti. "Non ci saranno nuovi dazi sui prodotti agroalimentari italiani destinati al mercato
USA. E' un'ottima notizia per i nostri agricoltori e ringraziamo il governo per l'efficace azione svolta a tutela del settore". Così il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ha commentato la decisione mentre Federalimentare, nelle parole del Presidente Vacondio, "non può che tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di una maggiorazione o espansione dei dazi Usa sui prodotti agroalimentari italiani e per questo dobbiamo ringraziare il governo e in generale il sistema politico e la commissione europea che si sono adoperate al massimo per disinnescare questi rischi". Lo dichiara il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio. "La situazione - precisa una nota di Federalimentare - è rimasta ferma perciò al quadro in vigore dall'ottobre scorso, con circa mezzo miliardo di export alimentare italiano colpito da imposizioni daziarie ad valorem del 25% su 4,5 miliardi di export di settore stimato a consuntivo 2019”.
"Un ulteriore aumento dei dazi oltre il 25% del valore applicato ad ottobre sarebbe stato un duro colpo per tutta la filiera produttiva delle Dop ed Igp così come per gli importatori e gli stessi consumatori statunitensi che ricercano nei nostri prodotti distintività e specificità". A
dichiararlo è Cesare Baldrighi, presidente di Origin Italia, l'Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche, dopo "la buona notizia arrivata insieme alla pubblicazione della lista dell'Ustr americana che indica i prodotti soggetti a dazi e nella quale l'agroalimentare italiano non compare".
Baldrighi sostiene inoltre che "in più occasioni abbiamo espresso l'auspicio e la convinzione che solo un efficace lavoro delle istituzioni sia italiane che europee sarebbe stato utile alla nostra causa e l'importante risultato di oggi ci conferma di aver ben riposto la nostra fiducia". Per Origin Italia è stato dunque scongiurato "il rischio di far subire alle eccellenze Made in Italy danni economici irreparabili e questo grazie soprattutto all'encomiabile lavoro di squadra condotto negli ultimi mesi dalle Istituzioni sia nazionali che comunitarie".
In particolare, "in tale processo, il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha giocato un ruolo senz'altro determinante, mostrando capacità ed autorevolezza ed un presidio constante dei tavoli europei”.
Fonte Ansa
Si chiama Cortina 2021 l’ultimo traguardo di Cattel SpA, l’azienda veneta leader nella fornitura di prodotti alimentari nel canale Ho.Re.Ca. Cattel sarà, infatti, lo sponsor ufciale dei Campionati del Mondo di sci alpino e diventerà l’Ofcial Provider del food dell’intera manifestazione.
Un’occasione unica sotto tanti punti di vista. Primo fra tutti, l’affermazione delle sue competenze territoriali e della qualità. Fiore all’occhiello della vasta offerta, che comprende circa 6400 prodotti, è la certificazione di provenienza. Questa consente a Cattel di selezionare le specialità dei piccoli produttori e di fornire agli atleti e agli ospiti le migliori etichette in ogni categoria: carni, salumi, formaggi, vini, freschi, dolci e quanto altro presente nel variegato catalogo. Non di minore rilevanza, Cortina 2021 sarà per Cattel un desiderato banco di prova per mettere in luce la sua rodata organizzazione distributiva che la porta a consegnare in media al giorno circa 18.600 colli di merce a 1200 diversi clienti. E, ancora, la presenza di Cattel SpA a Cortina 2021 conferma la sua vicinanza nei confronti dello sport e quanto ha a che fare con il sano agonismo, con la costante preparazione, con il risultato raggiunto con volontà e tenacia: da anni il marchio è legato all’Udinese Calcio, al Benetton Rugby Treviso, alla Bocciofila Monastier Fashion Cattel e ad altre realtà, minori per notorietà, ma non per spirito di squadra.
A Cortina 2021 Cattel indosserà lo stesso abito usato quotidianamente nei suoi 90 anni
di storia familiare: quello dell’affidabilità, della puntualità e della professionalità nell’insieme. Con questo atteggiamento si affaccerà anche al primo appuntamento con i grandi dello sci e il loro seguito, previsto dal 18 al 22 marzo 2020 con le Finali di Coppa del Mondo di sci alpino: cinque giorni di gare che vedranno sfidarsi 150 atleti alla presenza di un vasto pubblico, sia durante le gare, sia in occasione dei tanti eventi collaterali che si svolgeranno in loco nell’arco del 2020 e per tutto il 2021 quando, con clou dal 7 al 21 febbraio, proseguiranno le gare che coinvolgeranno altri 600 atleti provenienti da 70 nazioni e oltre 6000 addetti, garantendo una visibilità diretta di 120 mila spettatori e un pubblico stimato in collegamento tv di 50 milioni di persone.
Per i prossimi anni Cattel collaborerà dunque a stretto contatto con Fondazione Cortina 2021, l’organismo presieduto da Alessandro Benetton e diretto dall’AD Valerio Giacobbi, che cura l’intera organizzazione, gestione e promozione dei Campionati del mondo di sci alpino e del fitto calendario di eventi collaterali, sotto l’effige di “sustainability first” con focus sulla responsabilità d’impresa a protezione dell’ambiente e della comunità ospitante.
Sostenibilità e digitalizzazione del foodservice i temi focali dei talk promossi nella Golositalia Academy con Cast Alimenti. Al Centro Fiera del Garda di Montichiari (Bs), per la nona edizione della manifestazione di Italian Exhibition Group, accento su lotta agli sprechi e analisi delle performance di vendita per i professionisti del fuori casa.
Un incubatore di proposte e strumenti pratici per una ristorazione sempre più sostenibile e digitale. Sono stati giorni di intenso confronto e formazione per la filiera del fuori casa del nordovest dal 23 al 26 febbraio al Centro Fiera del Garda di Montichiari (Bs), per la nona edizione di Golositalia 2020, la manifestazione targata Italian Exhibition Group dedicata a tutte le tendenze e le novità per l’Ho.re.ca.
Vetrina delle migliori attrezzature, tecnologie, impianti, accessori ed eccellenze del food & beverage, l’area Foodservice è stata il cuore delle attività B2B con gli incontri di business tra le aziende espositrici e gli operatori di esercizi commerciali come bar, ristoranti, pizzerie, hotel e strutture ricettive.
Novità di edizione la Golositalia Academy, uno spazio dedicato all’aggiornamento professionale
grazie al programma di eventi, alle dimostrazioni e ai talk proposti da Ieg in collaborazione con Cast Alimenti, per supportare e accelerare lo sviluppo del settore con un mix di contributi che da un lato sostengono le scelte strategiche dei professionisti del fuori casa, dall’altro offrono strumenti e metodologie per migliorarne l’operatività.
La sostenibilità il fil rouge degli incontri di domenica 23, con I tre cuori della sostenibilità di Cauto, racconto dellanima sostenibile della cooperativa bresciana Rete Cauto, promotrice di inclusione sociale e benessere del territorio. Allo chef Riccardo Cominardi il compito di illustrare le caratteristiche dello Chef sostenibile, con grande attenzione anche alle metodologie di cottura per il rispetto degli alimenti, gli antiossidanti naturali e il bilanciamento dei macronutrienti.
Martedì 25 febbraio si è parlato di strategie di comunicazione e delle tecniche di analisi a supporto dell’ottimizzazione e del miglioramento delle performance di vendita, in un mercato sempre più frammentato, attraverso la case history di Cast Alimenti, che ha adottato efficacemente strumenti digitali per analizzare il mercato e i diversi touchpoint con il proprio pubblico di riferimento, elementi decisivi per far crescere la propria attività commerciale. Degustazioni e dimostrazioni sono state al centro del programma di Golositalia 2020: golosi e foodlovers hanno potuto abbandonarsi ai profumi e ai sapori di una grande varietà di proposte culinarie in un ideale giro d’Italia enogastronomico.
In controtendenza, con l’andamento generale vola la produzione alimentare Made in Italy che fa segnare nel 2019 un balzo record del 3%, il miglior risultato tra tutti i comparti. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti sulla base dei dati relativi alla produzione industriale nel 2019 elaborati dall’Istat.
Il risultato messo in luce dall’istituto di statistica fa particolarmente effetto se paragonato a quello generale, che vede invece in generale un calo annuale dell’1,3% trascinato dal crollo dell’abbigliamento (-4,6%) e della fabbricazione di autoveicoli (-4,4%), comparti storici di riferimento della manifattura nazionale.
Il cibo è diventato la prima ricchezza del Paese con la filiera agroalimentare estesa, dai campi agli scaffali e alla ristorazione, che raggiunge in Italia una cifra di 538 miliardi di euro pari al 25% del Pil ed offre lavoro a 3,8 milioni di occupati. Lo dimostra il fatto – spiega l’analisi Coldiretti –che mai così tanto cibo e vino italiano sono stati consumati sulle tavole mondiali con il record storico per le esportazioni agroalimentari Made in Italy che nel 2019 hanno registrato un aumento del 4% rispetto al record storico di 41,8 miliardi messo a segno lo scorso anno.
Quasi i due terzi delle esportazioni agroalimentari
interessano i Paesi dell’Unione Europea, dove il principale partner è la Germania mentre fuori dai confini comunitari continuano ad essere gli Stati Uniti il mercato di riferimento dell’Italian food. E l’andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare – sottolinea la Coldiretti – con una più efficace tutela nei confronti della “agro-pirateria” internazionale che fattura oltre 100 miliardi di euro miliardi di euro utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale. Un’industria del falso sempre più fiorente che ha paradossalmente i suoi centri principali nei paesi avanzati, a partire dall’Australia al Sudamerica, dal Canada agli Stati Uniti dove una spinta importante e venuta dai dazi punitivi nei confronti dei formaggi e dei salumi italiani che hanno favorito le “brutte copie” locali.
Ma il cibo italiano è diventato nel mondo anche sinonimo di salute grazie anche alla Dieta mediterranea. Pane, pasta, frutta, verdura, carne, extravergine e il tradizionale bicchiere di vino consumati a tavola in pasti regolari hanno consentito agli italiani – ricorda la Coldiretti – di conquistare primati nella longevità. Un ruolo importante per la salute che è stato riconosciuto anche con l’iscrizione della Dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco già dal 16 novembre 2010.
L’enogastronomia rappresenta poi un patrimonio anche per l’ambiente. Il paesaggio nazionale è, infatti, fortemente segnato, spiega il documento curato dalla Coldiretti, dalle produzioni agricole, dalle dolci colline pettinate dai vigneti agli ulivi secolari, dai casali in pianura alle malghe di montagna, dai verdi pascoli ai terrazzamenti fioriti, che contrastano il degrado ed il dissesto idrogeologico. Si tratta di un valore aggiunto non solo ambientale ma anche di armonia e bellezza per l’Italia che rappresenta anche un elemento di attrazione turistica che identifica il Belpaese all’estero.
Un successo ottenuto soprattutto grazie ai primati conquistati dall’agricoltura italiana, che è oggi la più green d’Europa, con 297 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/ Docg, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60mila aziende agricole bio, la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati (ogm), 40mila aziende agricole impegnare nel custodire semi o piante a rischio di estinzione e il primato della sicurezza alimentare mondiale
con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari. E l’Italia è anche leader nella biodiversità. Sul territorio nazionale –spiega la Coldiretti – ci sono 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi e 533 varietà di olive contro le 70 spagnole.
“I primati del made in Italy a tavola sono un riconoscimento del ruolo del settore agricolo per la crescita sostenibile del Paese”, afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre dunque salvaguardare un settore chiave per la sicurezza e la sovranità alimentare soprattutto in un momento in cui il cibo è tornato strategico nelle relazioni internazionali, dagli accordi di libero scambio alle guerre commerciali come i dazi di Trump, la Brexit o l’embargo con la Russia”.
“Una sfida che la Coldiretti ha raccolto con la promozione di Filiera Italia, la nuova realtà che riunisce il meglio della produzione agricola nazionale, dell’industria alimentare, con oltre 60 protagonisti nazionali, e della distribuzione, ora allargata alle più importanti componenti del sistema Paese”, conclude Prandini nel precisare che si tratta “dell’unica realtà oggi del Paese che è stata capace di fare sistema di fronte alle nuove sfide, dalle guerre commerciali al cambiamento climatico fino all’innovazione”.
Fonte: Coldiretti
La bevanda più amata dagli italiani protagonista di alcune delle canzoni più amate, anche a Sanremo. Tanti i grandi nomi della musica italiana che in un modo o nell’elettro hanno voluto rendere omaggio alla bevanda preferita dagli italiani: difcile fare una hit parade, ma ci ha provato il Ctceit.
Se si escludono il cuore e l’amore, sul palco dell’Ariston nel corso degli anni c’è un protagonista assoluto: il caffè. Da Lucio Battisti a Vasco Rossi. Da Fred Bongusto a Fiorella Mannoia. La lista di grandi nomi della musica italiana che hanno scelto di rendere omaggio alla bevanda più amata nel Belpaese, sfruttando le luci di Sanremo, è ben nutrita. E non poteva essere altrimenti, visto che l’espresso, essendo parte integrante della società italiana, è uno straordinario espediente narrativo per chi vuole mettere in musica le umane vicende che si sviluppano lungo lo stivale. Cogliendo l’occasione della 70esima edizione del Festival della canzone italiana, il Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale, che sta promuovendo la candidatura dell’espresso a Patrimonio Immateriale dell’Unesco, ha deciso di mettere in fila alcuni
dei brani più belli e famosi nei quali compare la bevanda nazionale per eccellenza. Il primo a portare il caffè a Sanremo è Fred Bongusto nel 1967, Spaghetti a Detroit: “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè, a malapena riesco a mandar giù”, cristallizzata nel lato B di un 45 giri, su di un gradevole ritmo swing. Da quel momento in poi, il testimone passa ai cantanti di musica “leggera” come Riccardo del Turco, che nel 1969 si domanda Cosa hai messo nel caffè: “… Ma cosa hai messo nel caffè che ho bevuto su da te? C’è qualche cosa di diverso adesso in me”.
Un’edizione, quella del 1969, ad alto tasso di caffeina, visto che anche Lucio Battisti in Anna si lascia coccolare appena alzato: “… la mattina c’è chi mi prepara il caffè”.
Chi invece ammazza il tempo “bevendo caffè nero bollente” è Fiorella Mannoia, che nel 1981 scrive un testo estremamente audace per l’epoca: un vero e proprio inno al separatismo femminile. Tre anni più tardi è la volta di Alberto Camerini, che tenta di conquistare il pubblico dell’Ariston con la sua Bottega di caffè: “Di primo mattino scaldiamo il motore beviamo insieme il caffè”.
Nella seconda metà degli anni 80, il caffè fa il suo debutto rock e lo fa con il re indiscusso del genere. È il 1985 e Vasco porta a Sanremo Toffee, musa ispiratrice che sa come conquistare un uomo: “Hai già preparato il caffè…saresti proprio una brava moglie…eh”.
Nel 1988 si invertono i ruoli e il caffè diventa la ciliegina sulla torta per una Gianna Nannini che, in Un ragazzo come te, dimostra di aver ben chiare le proprie priorità: “Un ragazzo che mi svegli la mattina con due baci caldi più del caffè”. Passano gli anni, ma la passione per l’espresso non accenna a scomparire né dalla società
italiana né dai testi delle canzoni. Fino al 2003 quando Alex Britti decide di esagerare e si concede non uno, ma 7000 caffè per restare sveglio alla guida.
“L’odore del caffè” torna a farsi prepotentemente sentire anche dalle parti dell’Ariston nel 2019. Merito di Francesco Renga che, se al Festival decide di cantare Aspetto che torni, appena finita la kermesse lancia il secondo singolo del nuovo album di inediti: “vorrei trovarti ogni notte / mentre il mondo qui dorme / quando mi manca una parte di te / e la mattina quando mi alzo / e c’è solo l’odore del caffè”.
E quest’anno? Le aspettative non sono state tradite ancora una volta grazie a Gianna Nannini, ospite d’onore della serata di venerdì 7 febbraio, che ha portato sul palco un medley del suo ultimo album La Differenza, a cominciare dal primo singolo pubblicato, Motivo: “E mi cerchi, mi cerchi ancora / Mi inviti a prendere un caffè / Mi manca un po' il respiro / Ci sarà un motivo”.
“Il fatto che il caffè espresso sia protagonista di così tante canzoni famose è ancora una volta testimonianza del valore ‘sociale’ di una bevanda che è assoluta protagonista della vita quotidiana degli italiani”, sottolinea Giorgio Caballini di Sassoferrato, Presidente del Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale. “È proprio grazie a questa consapevolezza
del grande valore aggiunto socio-culturale del caffè espresso italiano che abbiamo deciso di intraprendere il lungo cammino per ottenere il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco”.
Il Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale nasce il 15 settembre 2014 a Treviso con l’obiettivo di promuovere, valorizzare e tutelare il Caffè Espresso Italiano Tradizionale presso gli operatori del settore e presso i consumatori. Possono entrare a far parte del Consorzio le imprese e gli enti del settore del caffè, quali torrefattori, produttori di caffè e di macchine per il caffè e di altre attrezzature inerenti alla produzione o erogazione del caffè che condividano lo scopo consortile ed abbiano la sede e la produzione in Italia. Il Consorzio è composto da imprese del settore sparse nel territorio nazionale, e da alcuni enti che sostengono con convinzione questo progetto, tra gli altri il Gruppo Italiano Torrefattori (socio costituente) e la Federazione Italiana Pubblici Esercizi. Dal 2015 ad oggi il Consorzio è impegnato anche nell’ottenimento della candidatura all’Unesco per il riconoscimento di Patrimonio Immateriale dell’Umanità del Caffè Espresso Italiano Tradizionale.
Fonte: Ufficio Stampa Ctceit
L’azienda di Gradisca d’Isonzo (GO), produttrice di macchine da cafè e attrezzature professionali per bar e ristoranti, ha ritirato lo scorso 14 febbraio il Premio Speciale Anima, dedicato alle eccellenze manifatturiere italiane attive da 100 anni. Il riconoscimento suggella un 2019 di risultati positivi per La San Marco.
Si è tenuta lo scorso 14 febbraio, presso la sede Confindustria di Milano, la cerimonia di conferimento dei Premi Anima organizzata nell’ambito degli Export Days: una due giorni di aggiornamenti e incontri dedicata agli operatori della filiera meccanica italiana, promossa da Anima Confindustria e Ice-Agenzia. La cerimonia ha visto la premiazione di 15 diverse realtà del settore che, nell’ultimo anno, si sono particolarmente distinte per le loro attività in ambito export. Tra di esse, La San Marco, storica azienda di Gradisca d’Isonzo (GO) specializzata nella produzione di macchine da caffè espresso e attrezzature professionali per bar e ristoranti. La San Marco ha ritirato il Premio Speciale Anima dedicato alle eccellenze manifatturiere italiane attive da 100 anni. “È per me un onore poter essere qui oggi a ritirare, a nome nell’azienda, questo importante riconoscimento”, dice il direttore generale Roberto Nocera. “Cent’anni di storia equivalgono per La San Marco a cent’anni di attività e di instancabile passione, vissuti senza soluzione di continuità e attraversando ben due Guerre Mondiali: dal 1920 sviluppiamo macchine
da caffè professionali apprezzate per l’alta affidabilità, il design e la qualità del prodotto in tazzina. Con esse esportiamo in oltre 120 Paesi al mondo la grande tradizione italiana dell’espresso”. Con i suoi 100 dipendenti all’interno dello stabilimento produttivo di Gradisca d’Isonzo, La San Marco si posiziona oggi ai vertici dei costruttori mondiali di macchine professionali per caffè. L’azienda ha chiuso il 2019 con un fatturato di oltre 20 milioni di Euro, segnando un + 5% rispetto al 2018. In aumento anche la quota export (+7,3% rispetto al 2018) che rappresenta circa il 55% dell’intero fatturato.
“Nel 2019 abbiamo registrato ottime performance in Paesi come Francia, Germania, Austria e le più lontane Australia, Thailandia e Usa”, spiega Nocera. “Grandi soddisfazioni sono arrivate anche da mercati più recenti come la Spagna e la Libia. A trainare i risultati positivi all’estero sono stati in particolare i prodotti della nostra linea 100 (+16%) e della linea Leva, vero fiore all’occhiello del marchio La San Marco (+190%)”.
Alla scoperta dello Chardonnay e della zona in cui la cantina Nals Margreid Atelier Natura coltiva uno storico vitigno, le cui uve sprigionano tutto il calore, il carattere e l’unicità del terroir di origine da cui prendono vita vini di assoluta eleganza e rafnatezza.
Da un tessuto vitivinicolo variegato di 160 ettari complessivi che si estende lungo la Strada del Vino dell’Alto Adige, la cantina Nals Margreid Atelier Natura produce solo vini che rappresentano la forte espressione del terroir di origine. Qui, ogni area si dedica esclusivamente alla produzione dei vitigni che sono in grado di esaltarne al meglio le caratteristiche territoriali e climatiche, per produrre vini di grande carattere e personalità.
Da una storica area di produzione posta nella Bassa Atesina provengono le uve Chardonnay da cui nascono alcuni dei grandi vini della cantina Nals Margreid. La zona precisa è quella di Magrè, antichissimo insediamento urbano circondato da coltivazioni a vigneti e frutteti. In questo contesto naturale, caratterizzato da terreni in leggera pendenza con suoli di sabbia e ghiaia calcarea ad alto contenuto di humus e da un clima tra i più caldi
dell’intero Alto Adige, crescono le uve Chardonnay di Nals Margreid, i cui grappoli raggiungono la piena maturazione fenolica fino a una quota di 220 metri prima di essere portati in cantina per la pressatura. Dalle uve Chardonnay prodotte a Magrè nascono tre diversi vini che esaltano ciascuno una particolare zona di produzione e le sue caratteristiche specifiche. Ecco che Nals Margreid Atelier Natura propone le etichette Kalk, Magred e Baron Salvadori i cui nomi si rifanno a ciò che ciascun vino esprime al meglio del luogo in cui nasce. Kalk interpreta le caratteristiche che il terreno di ghiaia calcarea conferisce all’uva, Magred riporta all’immagine delle dolci colline della zona di Magrè, mentre Baron Salvadori rappresenta l’eccellenza del vitigno Chardonnay ottenuto da Nals Margreid nei terreni dell’omonima tenuta. Si tratta di vini diversi tra loro, ma tutti accomunabili da termini quali eleganza, creatività, esclusività, unicità e cura, valori che sono espressione del brand Nals Margreid Atelier Natura, cantina che rispecchia la sensibilità, la cultura e la passione di chi la vive quotidianamente e produce vino con amore per il territorio e rispetto per la natura del contesto alpino nel quale si inserisce. Una produzione di eccellenza quella dello Chardonnay Nals Margreid, fortemente radicata nel territorio dell’Alto Adige in cui nasce, cresce e si sviluppa, ma con la vocazione alla globalità e la volontà di proporre un prodotto di altissima qualità, risultato di quanto di meglio la natura possa offrire e reso unico dalle proprie tecnologie produttive rispettose delle diversità dei territori di provenienza, dei ritmi naturali e della bellezza dei luoghi.
La Distribuzione Moderna è già impegnata nel campo della sostenibilità ambientale e sociale e sta sviluppando nuovi progetti. Il 60% dei gruppi della distribuzione riconosce come strategica la sostenibilità, con obiettivi principali la riduzione della plastica, la diminuzione delle emissioni, la tutela del benessere animale, la tracciabilità della fliera.
L’impegno della distribuzione moderna a favore della sostenibilità ambientale è riassunta nei dati contenuti nel position paper di The European House – Ambrosetti e Associazione Distribuzione Moderna (Adm) “Il contributo della Marca del Distributore alla sfida dello sviluppo sostenibile e del Paese”, presentato nel corso di MarcabyBolognaFiere, a Bologna.
Il documento presenta 10 messaggi chiave che definiscono la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa per la Gdo e, in particolare, nell’ambito della Marca del Distributore. La sostenibilità nella Gdo è un dato di fatto. Già oggi, ad esempio, il supermercato medio sta sistematicamente riducendo i consumi di energia elettrica (-30% dal 2005 al 2017 e -2,9% nel 2018) e il consumo di acqua (112 milioni di litri in meno all’anno); ha inoltre aumentato il recupero di eccedenze alimentari attraverso donazioni di 6 volte negli ultimi 7 anni.
Il maggior dinamismo nel campo della sostenibilità si evidenzia nei prodotti a Marca del Distributore, un settore che vale 10,8 miliardi di fatturato nel 2019 e il cui sviluppo negli ultimi 16 anni spiega l’80% della crescita realizzata nello stesso periodo dall’intera industria alimentare nel mercato domestico.
A dimostrazione dell’ampiezza e dell’intensità con la quale vengono perseguiti gli obiettivi di sostenibilità in relazione alla MdD, quest’ultima risulta dallo studio di The European House –Ambrosetti uno dei pochi settori che impattano, direttamente o indirettamente, su tutti i 17 Sustainable Development Goal (Sdg) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Ma cos’è sostenibilità per la Gdo attraverso la MdD? Adm ha individuato una propria definizione, condivisa con The European House - Ambrosetti: esprime la volontà di essere di
indirizzo per lo sviluppo sostenibile del Paese, di avere rapporti costruttivi con i fornitori per metterli nella condizione di fare investimenti in logica di sostenibilità, con la finalità di divenire essi stessi più sostenibili e di offrire prodotti coerenti con le nuove esigenze dei consumatori, generando in questo modo una filiera responsabile e attivando un circolo virtuoso da cui tutti, imprese, cittadini e società, traggano beneficio.
La relazione con i fornitori è quindi la chiave di volta per la sostenibilità della Marca del Distributore. Per questo non saranno più definiti “copacker” ma “MdD partner”. Una questione solo apparentemente semantica, ma in realtà di sostanza. Perché è di autentica partnership che stiamo parlando, finalizzata al successo di entrambe le parti per portare vantaggi al consumatore.
Fonte: Lead Communication
In Lombardia, a Milano, la prima tappa della sfda dedicata alla valorizzazione dei prodotti agroalimentari Dop Igp italiani organizzata da Fondazione Qualivita e OriGIn Italia, con la collaborazione di McDonald’s Italia, che vede il coinvolgimento di 18 Consorzi di Tutela e due istituti alberghieri.
Un nuovo step del percorso di valorizzazione delle Indicazioni Geografiche nazionali in cui, da ormai 12 anni, Fondazione Qualivita affianca McDonald’s con l’obiettivo di far conoscere a un pubblico sempre più ampio, soprattutto giovanile, le qualità delle eccellenze italiane. All’interno di queste attività, dal 2020 prende il via la sfida intitolata “My Selection Chef”, che vede protagonisti OriGIn Italia e i Consorzi di tutela e soprattutto gli studenti degli istituti alberghieri italiani, impegnati in un contest. La “sfida”, che si svolgerà in diverse regioni di Italia, consisterà in una doppia prova: la prima, teorica, basata su un quiz che testerà la conoscenza dei prodotti agroalimentari certificati, la seconda, pratica, mirata alla creazione del miglior panino con ingredienti Dop Igp.
Ad aprire l’evento, un momento di formazione con lezioni magistrali di relatori come Cesare Baldrighi, Presidente di OriGIn Italia, Mario Federico, Amministratore Delegato di McDonald’s Italia, Raffaele Bellini, Chef di McDonald’s Italia, Joe Bastianich con la sua esperienza di imprenditore di successo nel settore della ristorazione, coordinate da Mauro Rosati, direttore generale della Fondazione Qualivita.
“Un progetto”, commenta Cesare Baldrighi, Presidente di OriGIn Italia, “in cui si valorizzano le produzioni dell’agroalimentare italiano relativamente al mondo delle Dop e Igp, che oggi sviluppano un fatturato di circa 7 miliardi di euro all’origine e di 14,7 miliardi al consumo, con una quota di export che tocca i 3,5 miliardi. Questa operazione con McDonald’s che coinvolge OriGIn Italia e Qualivita, rappresenta una preziosa occasione per sottolineare l’importanza di agire come sistema compatto per avvicinare le nuove generazioni alla conoscenza delle eccellenze del Made in Italy attraverso il canale della ristorazione, sempre più strategico, in particolar modo per l’appeal di McDonald’s sui giovani. Ed è proprio sul rafforzamento dell’interlocuzione con il mondo della ristorazione che OriGIn Italia si sta adoperando sempre di più, affinché nei menu possano essere specificati e valorizzati i prodotti Dop ed Igp utilizzati”.
“Il legame che da sempre McDonald’s ha con i giovani è ciò che rende ancora più significativa questa giornata. Siamo un luogo di aggregazione ma possiamo essere anche grande veicolo di conoscenza di prodotti eccellenti del nostro territorio”, ha dichiarato Mario Federico, amministratore delegato di McDonald’s Italia.
“Negli ultimi dodici anni abbiamo intrapreso tante collaborazioni con i Consorzi di tutela e sono particolarmente orgoglioso di annunciare che con l’arrivo della terza edizione di My Selection, consolideremo la presenza di ingredienti Dop e Igp nel nostro menu”.
“Questo progetto che ci vede impegnati in una nuova collaborazione con McDonald’s”, afferma Cesare Mazzetti Presidente della Fondazione Qualivita, “è totalmente incentrato sui giovani. Sono loro i protagonisti che determineranno le scelte del futuro. La formazione che coinvolge Dop Igp, deve passare sia attraverso i giovani chef che studiano presso gli istituti alberghieri, alle prese con la conoscenza delle produzioni di eccellenza italiane da utilizzare per le loro preparazioni, sia attraverso i giovani frequentatori dei locali della ristorazione informale”.
“A fianco del tema culturale e formativo, rimane centrale anche l’aspetto della commercializzazione dei prodotti di qualità”, sottolinea Mauro Rosati, direttore generale di Fondazione Qualivita, “che attraverso la nostra decennale collaborazione con McDonald’s è molto cresciuta. Con l'introduzione di quest’anno del Pecorino Toscano Dop sono 15 prodotti Dop Igp impiegati nelle preparazioni. In termini di numeri, nel 2020 si stimano acquisti di 300 tonnellate di ingredienti Dop Igp (Pecorino Toscano Dop 90 tonnellate, Asiago Dop quasi 160 tonnellate, Aceto Balsamico di Modena Igp oltre 10 tonnellate e Cipolla Rossa di Tropea di Calabria Igp 40 tonnellate). Lo scorso anno sono stati venduti circa 19 milioni di panini con Fontina Dop, Speck Alto Adige Igp, salsa con Cipolla Rossa di Tropea Calabria Igp e Aceto Balsamico di Modena Igp”.
Fonte: Fondazione Qualivita
Premiati gli studenti del Politecnico di Torino ideatori del progetto “Food action”, presentato dalla città di Torino alla Shenzen Design Award for young talents. Tema scelto per la competizione è stato l’Inclusive Design: alle città della rete Unesco è spettato il compito selezionare i progetti da iscrivere alla competizione.
Sara Ceraolo e Raffaele Passaro, laureati in Design
Sistemico al Politecnico di Torino, sono gli unici europei premiati con il New Star Award 2019, la competizione internazionale promossa da Shenzhen City of Design Promotion Association (SDPA) e co-organizzato dall'Unesco Creative Cities Network, riservata ai designer under 35.
Il loro progetto Food Action - A socially design strategy to provide meals to homeless people by the usage of food waste è stato premiato nella categoria riservata agli studenti del prestigioso concorso internazionale Shenzhen Design Award for young talents (SDAY), giunto alla sua quarta edizione e riservato ai giovani designer provenienti dalle 180 città appartenenti alla Unesco Creative Cities Network, di cui Torino - unica italiana tra le città creative Unesco del design - fa parte. Quest’anno il tema scelto per la competizione è stato l’Inclusive Design: alle città della rete Unesco è spettato il compito selezionare i progetti da iscrivere alla competizione, valutando quelli che meglio interpretassero il tema proposto e le reali possibilità di realizzazione.
Food Action, che promuove un approccio innovativo ai problemi dello spreco alimentare e della povertà alimentare, è stato presentato alla competizione dalla
Città di Torino perché ritenuto interessante, innovativo, e che al contempo rientra a pieno titolo in due ambiti che da sempre segnano l'eccellenza torinese: la gastronomia e la solidarietà.
Obiettivo del progetto è quello di sviluppare nuovi prodotti edibili - partendo da materie prime d’eccedenza - che possano essere offerti come valide alternative alimentari, sane e gustose, ai senzatetto ospitati nelle case di accoglienza notturna della Città di Torino.
Questi prodotti, trasformati grazie all’utilizzo di normali centri di cottura low tech, mantengono valori nutrizionali e caratteristiche organolettiche senza trascurare l’importanza della qualità percepita, dell’esperienza di consumo e della personalizzazione e utilizzano le eccedenze alimentari secondo una prospettiva sostenibile attivando una pratica di riduzione dello spreco alimentare e di progettazione per il sociale.
La Città di Torino, impegnata in numerosi progetti di collaborazione con Shenzen, insieme agli Enti che fanno parte del tavolo Consultivo del Design – in primis il Politecnico di Torino, è orgogliosa del premio attribuito al progetto Food action di Sara Ceraolo e Raffaele Passaro, che rappresenta al meglio l’attitudine a utilizzare il design per progettare servizi a vantaggio della comunità.
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